Roma - Il Sismi non fa dossier su politici, magistrati o giornalisti, parola di Romano Prodi. Se c’è stata un’attività di spionaggio illecita, i magistrati dovranno accertarla e sulle loro indagini riguardo al cosiddetto «archivio di Pio Pompa» non peserà il segreto di Stato.
La prima preoccupazione del premier, al ritorno dalla visita in Israele, è convocare a Palazzo Chigi il ministro della Difesa Arturo Parisi, il direttore del Sismi Bruno Branciforte, il sottosegretario Enrico Micheli e il segretario generale del Cesis Giuseppe Cucchi. Un vertice per fare il punto su una situazione che rischia di mettere in crisi le istituzioni. Ed è il Sismi, come istituzione, che Prodi vuol mettere al riparo da ombre. Se ci sono state deviazioni, spiega in sostanza il comunicato della presidenza del Consiglio al termine del vertice, la magistratura perseguirà i colpevoli e avrà dai servizi di intelligence «la massima collaborazione». Tutta la documentazione sull’archivio segreto di via Nazionale è già a disposizione degli inquirenti e le verifiche sono in corso.
Una presa di posizione in rotta di collisione con la risoluzione del Csm, che il 4 luglio ha affermato che a spiare alcuni magistrati e non solo non sarebbero stati «settori deviati» del Sismi, ma il servizio «in quanto tale», andando oltre i suoi compiti istituzionali. Affermazioni che sono subito apparse come un boomerang per Palazzo de’ Marescialli, attirando critiche da ogni parte.
Palazzo Chigi esprime «piena e totale fiducia nel lavoro dei magistrati, auspicando che sia fatta rapidamente e in modo completo la necessaria chiarezza su quanto denunciato e ipotizzato» e sottolinea che i nuovi vertici dei servizi segreti sono al riparo da ogni sospetto. L’indagine in corso riguarda, infatti, «materiali raccolti in passato» nell’ufficio di via Nazionale «che non è più operativo». Insomma, si è voltata pagina. «Ogni eventuale sopruso a danni di persone, categorie o associazioni non rientra ovviamente nella corretta gestione di un compito tanto delicato e importante». Quindi, attività di dossieraggio potevano essere svolte solo da settori deviati del Sismi.
Che fosse in arrivo una precisazione forte dal governo lo lasciava presagire già la dichiarazione di martedì del ministro dell’Interno. Giuliano Amato, infatti, giudicava incomprensibile la solidarietà ai magistrati spiati espressa dal Csm, per «una vicenda giudiziariamente in corso» e si chiedeva «se ed in qual modo potesse esprimere una valutazione anche di quella vicenda» e, soprattutto, se con quel documento il Consiglio «ha dato o no per acquisita l’indole illecita» dei dossier.
Ora, arriva la dichiarazione di Prodi e subito dopo quella, sulla difensiva, del vicepresidente del Csm. Nicola Mancino, racconta chi gli sta vicino, in questi giorni è molto irritato: pensava di aver fatto un’operazione encomiabile e invece si sente sotto accusa. L’organo di autogoverno delle toghe, afferma in un’intervista a Famiglia cristiana, ha agito con «tutta la prudenza necessaria», acquisendo documenti «inquietanti» dai pm di Milano e Roma e accertando in modo «scrupoloso» le fonti. Ma Palazzo dei Marescialli non ha fatto alcun «processo» al Sismi, né emesso alcuna «sentenza», si è limitato a tutelare i magistrati coinvolti. Ad una settimana dalla risoluzione Mancino, torna a difendere quella scelta approvata da tutti «compresi i laici di centrodestra», e attacca: «Ci sono troppi improvvisatori che, senza neppure leggersi le carte, fanno dichiarazioni da preannuncio di guerra». Perché il Csm ha ritenuto di dover anticipare un giudizio sul Sismi, escludendo deviazioni, Mancino non lo spiega, ma precisa che a Palazzo de’ Marescialli non si svolgono indagini giudiziarie e toccherà ai magistrati accertare se sono stati commessi reati. Intanto, i 4 laici dell’Unione chiedono al Csm di individuare il magistrato fuori ruolo che avrebbe collaborato con i servizi per l’«illecito spionaggio». La talpa andrà sanzionata disciplinarmente.
Per l’ex presidente del Senato Marcello Pera sulla vicenda il Csm ha agito «al di fuori della Costituzione». E il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che ne è al vertice, non dovrebbe consentire «come hanno fatto i suoi due predecessori, di discutere cose che non sono di sua competenza».
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