Palermo, un accordo tra mafiosi e massoni per ritardare i processi

Imprenditori, mafiosi, poliziotti. Sono otto gli arrestati nell'operazione Hiram: la lobby riusciva a far slittare le sentenze definitive dei processi dei boss

Palermo, un accordo 
tra mafiosi e massoni 
per ritardare i processi

Palermo - Stroncata la lobby di massoni e mafiosi che ritardava i processi delle cosche. I carabinieri hanno arrestato otto persone, in diverse città, accusate di concorso esterno in associazione mafiosa, corruzione in atti giudiziari, peculato, accesso abusivo in sistemi informatici giudiziari e rivelazione di segreti d’ufficio. I provvedimenti sono stati emessi dal gip del tribunale di Palermo, Roberto Conti, su richiesta del procuratore Francesco Messineo, dell’aggiunto Roberto Scarpinato e del sostituto della Dda, Paolo Guido. L’inchiesta, che vede coinvolti professionisti, medici, imprenditori, boss e alcuni iscritti a logge massoniche, è stata condotta dai carabinieri dei comandi provinciali di Trapani e Agrigento.

Hiram L’operazione, per la quale sono in corso decine di perquisizioni, è stata denominata "Hiram", vede impegnati anche i carabinieri, non solo di Agrigento e Trapani, ma anche quelli di Palermo, Roma e Terni. Dall’inchiesta emerge che boss mafiosi, grazie all’aiuto di persone appartenenti a logge massoniche, avrebbero ottenuto di ritardare, dopo il pagamento di tangenti, l’iter giudiziario di alcuni processi in cui erano imputati affiliati a cosche di Trapani e Agrigento. Le indagini che hanno portato alla scoperta dei presunti intrecci fra boss e massoni diretti a ritardare i processi di alcuni affiliati alle cosche mafiose, sono state avviate dai carabinieri nel 2006. Controlli sono in corso anche negli uffici della Cassazione e sui conti correnti.

Gli arrestati Sono otto le persone arrestate nell’operazione Hiram. Michele Accomando, 60 anni, di Mazara del Vallo, imprenditore, finito in carcere nel 2007 per un’inchiesta su appalti pubblici pilotati, è stato in seguito condannato per mafia a nove anni e quattro mesi. Renato Gioacchino Giovanni De Gregorio, 59 anni, ginecologo a Palermo, condannato anche in appello per violenza sessuale su una minorenne, dal 2005 pende in Cassazione il suo ricorso. Rodolfo Grancini, 68 anni, originario di Orvieto, è indicato dagli investigatori come un faccendiere, in contatto con diversi senatori e deputati, considerato dagli inquirenti "una personalità poliedrica inserita in un giro di amicizie altolocate, attorno alla quale ruota l’intera indagine". Grancini avvalendosi di persone "prezzolate", alcune già note agli investigatori, altre ancora ignote, all’interno della Cassazione, secondo l’accusa era riuscito a congegnare un "sistema" che gli consentiva di acquisire notizie riservate sullo stato dei procedimenti e di pilotare la trattazione dei ricorsi proposti alla suprema Corte dai suoi"»clienti". Calogero Licata, 57 anni, imprenditore agrigentino, accusato di aver tentato di insabbiare in Cassazione alcuni procedimenti penali che riguardavano boss mafiosi di Agrigento e Trapani. Guido Peparaio, 55 anni, impiegato del ministero della Giustizia, addetto alla cancelleria della seconda sezione della Corte di Cassazione con la qualifica di ausiliario. Calogero Russello, 68 anni, imprenditore agrigentino che era già stato imputato di mafia. Nicolò Sorrentino, 64 anni, originario di Marsala. Francesca Surdo, 35 anni, originaria di Palermo, agente della polizia di Stato in servizio alla Direzione anticrimine di Roma.

Massone Nell’inchiesta della Dda di Palermo sul tentativo di insabbiare i processi in Cassazione per ottenere la prescrizione, risulta indagato anche il gran maestro Stefano De Carolis, esponente di spicco della Serenissima Gran Loggia Unita d’Italia. Il massone, secondo l’accusa, sarebbe stato messo a conoscenza dall’imprenditore Michele Accomando e da un altro indagato dell’inchiesta Hiram, del piano per ottenere il controllo di un procedimento penale pendente in Cassazione che riguardava il boss mafioso Giovanbattista Agate, fratello del capomafia di Trapani, Mariano. Secondo quanto emerge dall’inchiesta, Accomando voleva che il procedimento che riguardava Agate venisse insabbiato in modo da impedirne la trattazione e conseguire la progettata prescrizione del reato.

Padre gesuita Un avviso di garanzia è stato inviato anche a un sacerdote, gesuita, con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. L’avviso è stato notificato stamani dai carabinieri al religioso che vive a Roma. La sua abitazione, e gli uffici che si trovano nel centro della Capitale, sono stati perquisiti. Il sacerdote romano è padre Ferruccio Romanin. Al gesuita secondo l’accusa sarebbero state fatte scrivere lettere dal faccendiere, Rodolfo Grancini, "previo pagamento da parte di Michele Accomando", per "raccomandare alcuni imputati di mafia". Il peso e l’autorevolezza del sacerdote che apponeva la sua firma alle lettere inviate ai magistrati, per l’accusa avrebbero influito sull’esito dei ricorsi giurisdizionali proposti a diverse autorità giudiziarie.

Padre Romanin avrebbe anche scritto una lettera a un giudice che doveva decidere sugli arresti domiciliari chiesti da Epifanio Agate, figlio del capomafia di Trapani, Mariano e per Dario Gancitano, genero di Accomando, imputati entrambi davanti ai giudici del tribunale di Reggio Calabria.

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