RomaPiù che oblio, una scelta. I palermitani 18 anni fa scesero in piazza in massa, spontaneamente, per marciare contro la mafia e le sue bombe, che avevano ammazzato prima Giovanni Falcone e poi Paolo Borsellino. Ieri, però, alla vigilia dellanniversario della strage, hanno preferito restare a casa, o combattere la calura sulle spiagge di Mondello, piuttosto che rispondere «presente» alla chiamata in piazza di Salvatore Borsellino.
Ma non è un problema di memoria corta, o almeno non è solo così. Più probabilmente, chi il 19 luglio del 1992 si voltò per quel botto e vide il fumo alzarsi in cielo da via DAmelio, oggi non ha voglia di accreditare, con la propria presenza, un uso di quella tragedia che ritiene, evidentemente, ideologico e strumentale. E così Palermo ha guardato indifferente lo sparuto corteo del «popolo delle agende rosse», lassociazione fondata dal fratello del magistrato, sfilare da via DAmelio, luogo dellattentato, al castello Utveggio, in cima a Monte Pellegrino, dove secondo una delle ricostruzioni investigative avrebbe operato una struttura del Sisde. Risultato scontato: la manifestazione è stata un flop. Cento persone a dir tanto, quasi tutte venute da fuori. Pettorine rosse, magliette di Lotta continua, «Bella ciao» cantata di fronte al castello liberty che avrebbe ospitato la sede riservata dellintelligence. Poi il rompete le righe, fino allappuntamento delle «agende rosse» di ieri sera, la proiezione del film «Una strage di Stato» e dibattito a seguire con lo stesso Salvatore Borsellino, Marco Travaglio, Gioacchino Genchi.
Non era una manifestazione spontanea, ma mirata, come appare chiaro anche dal percorso «simbolico» che si è scelto. Non era una manifestazione di tutti, ma solo di una parte. Quella che non solo accredita la tesi di una trattativa tra Stato e «cosa nostra» che avrebbe lasciato sul terreno, tra le vittime, i due magistrati, ma da quel teorema, e dalla stagione delle stragi, fa discendere la nascita di Forza Italia e la carriera politica di Silvio Berlusconi. E chi in quel disegno, in tutto o in parte, non si riconosce, ha semplicemente preferito restare a casa.
Una lettura che, ovviamente, non ha convinto i promotori delliniziativa. E se la sorella del magistrato, Rita, europarlamentare del Pd, invita a non strumentalizzare il flop per attaccare i palermitani («Colpa del caldo, non cero nemmeno io, per questo dovrei essere considerata indifferente o mafiosa?»), il pm dellantimafia palermitana Nino Di Matteo evoca invece, immediatamente, un «ritorno allindifferenza del passato». Insomma, per molti la tentazione di semplificare il flop di ieri interpretandolo come un voltar le spalle di Palermo alla propria memoria è forte, magari buttandoci dentro anche il danneggiamento delle statue dei due magistrati uccisi appena inaugurate nel capoluogo siciliano. E anche Leoluca Orlando, portavoce dellIdv, rilancia il teorema polemizzando sullassenza del Guardasigilli alle celebrazioni ufficiali di oggi, che «rischia di essere interpretata come lennesimo inquietante messaggio» all«intreccio perverso tra mafia, politica, affari e massoneria deviata» che il ministro «non sembra abbia particolare interesse affinché sia svelato». Ma la controprova è a un passo. Lanniversario dellattentato di via DAmelio è oggi. E in calendario ci sono molte manifestazioni, tutte organizzate con uno scopo chiaro: ricordare Borsellino, il suo lavoro e il sacrificio suo e della sua scorta. Non accreditare un teorema dalle finalità squisitamente politiche.
Una smentita dell«indifferenza» cè già stata ieri, proprio in risposta al danneggiamento delle statue. Tanti palermitani hanno disertato la «marcia», ma sono corsi in via Libertà, dove le statue erano state rimesse in piedi. Hanno lasciato fiori e biglietti. Non li ha mobilitati nessuno.