Il viaggio comincia sui Navigli. Si risale all'indietro come salmoni, alla ricerca delle origini perdute, come seguendo un richiamo ancestrale. Verso unaltra Lombardia, neanche tanto lontana nel tempo. Ancora meno lontana se si guarda solo al contachilometri.
Sui Navigli cè la Festa dei fiori, lappuntamento di giugno. Un omaggio all'antica vitalità popolare, quando arti e mestieri si affacciavano sull'acqua, in un legame di inesauribile operosità, a sera sempre bagnata dal vino sincero di locande e osterie.
Da lì, si può viaggiare per un anno intero. Non passa giorno del calendario che non sia anche ricorrenza, da qualche parte, in questa strana terra manzoniana. Uno storico bergamasco, Renato Ravanelli, in questo viaggio si è imbarcato, rimanendone incantato e stupefatto, come ogni ricercatore che parta all'avventura con animo aperto e ben disposto. Un anno battendo in lungo e in largo, in alto e in basso, la sua amata regione. Partendo da Milano e addentrandosi poi per contrade e vallate. Un'immersione totale in sagre, rievocazioni storiche, usanze, costumi, nonché riti beneauguranti e superstizioni, della locomotiva industriale d'Europa. E qui, a detta del viaggiatore, sta tutta la curiosa contraddizione del viaggio. Tra ciminiere e capannoni, tra new economy e happy hour, tra terziario avanzato e alta finanza, ecco riemergere negli angoli più impensati «una cultura pudica, quasi segreta», che mantiene in vita nei secoli del progresso il bagaglio delle credenze e delle tradizioni, perpetrandoli a futura memoria, come contrappesi alla supersonica modernità. Basta guardarsi in giro. Ovunque, nelle date più impensate, i quadri più impensati. A Martinengo, dove la piccola industria sta sempre più spietatamente sfrattando l'albero degli zoccoli, ogni terza domenica d'ottobre sopravvive fiero il secolare Palio degli asini. Non compete per fama e popolarità con quello di Siena, non avrà mai dirette televisive e spettatori vip, ma ha più di trecento anni e la sua storia merita d'essere raccontata. La leggenda lo lega all'anno 1443, quando il borgo si trovò assediato dai soldati del Duca di Milano. L'intenzione degli assedianti era prendere gli assediati per fame. E in effetti, dopo lunghe giornate a porte chiuse, il cibo cominciò a mancare. Ormai s'erano scuoiati tutti gli animali dentro la cerchia delle mura. Avevano risparmiato soltanto sette asini, che però nessuno osava toccare, perché servivano in alcune sortite notturne nelle campagne intorno, alla ricerca di grano e verdura. Fu proprio grazie a questi valorosi sopravvissuti, guardati via via con occhiate sempre più strane dai famelici villici, che il borgo riuscì comunque a resistere fino all'arrivo dei nostri, nell'occasione impersonati dalla truppe veneziane del condottiero Bartolomeo Colleoni. Il bello della storia, però, sta nel seguito. Come sentito ringraziamento agli eroici somari, la cittadinanza si buttò in memorabili libagioni, trasformando gli impareggiabili eroi in sontuose pietanze. Fu l'inizio della tradizione. Ogni anno, alla fine del Palio, Martinengo rende omaggio all'asino vincitore macellandolo sul posto, concedendogli poi l'onore della padella e della griglia. Inutile dire che da secoli resti perennemente irrisolta una segreta domanda: se cioè il Palio degli asini veda in lizza gli animali durante la corsa, o gli uomini seduti poi alla tavolata.
Ce n'è un mazzo, in Lombardia, di storie come questa. Come in un grande affresco picaresco. Rievocazioni, memorie religiose, riti propiziatori, superstizioni profane. Ogni provincia ha il suo forziere di memorie antiche e gustose. Cito a caso, sapendo già di scontentare quasi tutti. Nel Comasco, imperdibile a Schignano il carnevale dei belli e dei brutti. A San Colombano al Lambro il Guiderdone Banino, con la rievocazione dell'assalto al castello Belgioioso (1402). A Grazie di Curtatone il formidabile raduno mondiale dei Madonnari, omaggio di gesso colorato e di talento limpido alla Beata Vergine. A Mortara, curiosissimo il Palio dell'oca, che ripropone le origini dell'intramontabile gioco. La faccio brevissima: l'idea nasce nel Quattrocento alla corte del Castello Sforzesco, in Milano. Mentre Beatrice d'Este, moglie di Ludovico il Moro, aspetta il marito al rientro dalla caccia, vede alcuni ragazzi che rincorrono le oche imitandone il verso. Divertita, la dama chiama i buffoni di corte e con loro inventa le regole: cinquanta caselle, ciascuna legata a una prova di destrezza, che i partecipanti devono superare in prima persona. Ancora oggi, Mortara lo ripropone tale e quale.
Si potrebbe continuare per un anno, vagando di villaggio in villaggio. È una Lombardia da percorrere con l'animo e con gli occhi dell'esploratore, perché molto cè da scoprire. Così Ravanelli racconta il viaggio suo: «Un anno di vagabondaggio, senza una meta precisa. E intanto i fogli si riempivano di appunti.
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