Il Palio e l’elogio del localismo

È tra le righe, o meglio tra le parole di Matteo Arpe, che si possono cogliere due o tre cosette interessanti sui progetti di Capitalia. Su quello che l’ad della banca romana ha in mente di fare, e su quello che invece non voleva affatto. Consapevole di avere un presidente forte alle spalle, quale Cesare Geronzi. E sicuro del sostegno dei grandi azionisti, appena confermato dal maggior socio del patto di sindacato, cioè gli olandesi di Abn Amro. Allora quando Arpe dice che «il silenzio paga» e che «il peggior nemico di un’aggregazione è la non riservatezza», spiega bene che Cap-Intesa è stata un’idea naufragata prima ancora di salpare. Perché qualcuno ha parlato e perché Capitalia non avrebbe accettato un’unione sbilanciata verso Milano, nell’interesse esclusivo di Intesa e dei suoi soci. Poi è arrivato il Sanpaolo e anche qui Arpe lo ha fatto capire, e in modo colorito: «Quando una coppia si rompe non è mai colpa di uno solo, ma di tutti e tre». Così è nata San-Intesa. Non senza una velenosa chiosa, riservata da Arpe ai torinesi: «Quando sento parlare di superamento dei localismi in altre operazioni, penso che il management del Sanpaolo effettivamente lo abbia fatto». Vale a dire accettando le condizioni di Intesa. Una battuta che porta dove Arpe voleva arrivare, cioè all’elogio del localismo. E della banca più locale di tutte: il Montepaschi: «Il localismo e le tradizioni sono un enorme valore di quell’azienda». E qui si ferma. Ma il messaggio parte chiaro e forte. Verso Siena, verso un’ipotesi di merger sostenibile non solo dal lato industriale e geografico.

Ma anche da quello più ostico della governance: a Siena c’è il socio forte (la Fondazione) che manca a Roma, dove invece c’è un azionista estero interessato a crescere. E soprattutto un managment forte e «di mercato», per guidare l’intrapresa.

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