
Un premio fortemente politico in linea con lo spirito di apertura del Festival di Cannes. La Palma d'oro è andata a A simple accident di Jafar Panahi, dissidente politico che in Iran ha vissuto l'arresto e il confino. Taxi Teheran fu girato in clandestinità per dissidi con l'allora esecutivo del suo Paese e nel 2018 Cannes lo aveva invitato a presentare Tre volti. Nel 2022 viene arrestato e condannato a sei anni di reclusione che gli impediscono di andare a Venezia per Gli orsi non esistono. L'accusa è di propaganda antigovernativa. Viene scarcerato nel febbraio del 2023 e ora arriva l'incoronazione di Cannes.
«La cosa più importante è la libertà dal regime. Nessuno deve dirci cosa dobbiamo fare o pensare» ha detto il regista a caldo, dopo aver ringraziato la famiglia, tratto comune a tutti gli altri vincitori. Premi ben distribuiti a dimostrare che la qualità è diffusa. Ampia. E sta un po' ovunque. Otto titoli diversi per altrettanti premi con un ex aequo dato dalla giuria e il solo brasiliano O secreto agente a portarsi via due riconoscimenti, la miglior regia a Kleber Mendonça Filho e il miglior attore a Wagner Moura, assente alla cerimonia.
Ex aequo per il premio della giuria andato al drammatico «road movie» di Olivier Laxe, Sirat e a Sound of falling. Un premio speciale è stato consegnato all'onirico cinese Bi Gan con Resurrection mentre, per la sceneggiatura, una nuova palma è andata a casa Dardenne con il loro audace Jeunes mères su un gruppo di ragazze madri e la difficoltà di una gravidanza nella minore età. La miglior attrice è una sorpresa, Nadia Melliti, per La petite dernière e il «Grand prix» è toccato a Joachim Trier per Sentimental value, film su un regista e la sua controversa famiglia d'origine che si riflette nel suo rapporto con le figlie.
Per l'Italia solo lacrime e delusioni. Nessuna menzione e tanto meno premi. Mario Martone e il suo viaggio nella vita di Goliarda Sapienza in Fuori non raccoglie né plauso né attenzione. Stesso destino toccato l'altra sera ai due film di casa nostra inseriti nella sezione cadetta «Un certain regard», ovvero Testa o croce e Le città di pianura. È stato il festival del coraggio e, al di là dei tantissimi divi del cinema mondiale che hanno sfilato in passerella, la maggior parte dei film in concorso erano figli di volti nuovi, alla prima o seconda esperienza. Il conto da pagare è stato un afflusso ridotto ma una visibilità selettiva.
Si è puntato insomma sulla qualità, in accoppiata con tutto ciò che metteva al centro della discussione una situazione politica quasi sempre drammatica o controversa. Polemiche che hanno accompagnato ogni esibizione legando il festival all'attualità di un mondo in difficoltà tra guerre, repressioni e dittature.
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