Fa ricerca e design in Italia, compra la materia prima sempre in Italia, poi produce borse e valigie in Cina. E una volta che ha indietro dalla Cina il prodotto finito, lo distribuisce dall'Italia in tutto il mondo. Ma si può anche dire che Marco Palmieri, quarantunenne dell'Appennino bolognese, ingegnere mancato, informatico per formazione e creativo per vocazione, fa profitti in Cina e poi li investe in Italia. Nel design, nell'innovazione, nella logistica, nella distribuzione. Al punto da costruire un nuovo stabilimento proprio nel cuore dell'Appennino tosco-emiliano, a Gaggio Montano, un paesino a 680 metri d'altezza e di nemmeno cinquemila abitanti tra Bologna e Porretta Terme. Progettato dall'architetto Karim Azzabi e inaugurato in ottobre dal ministro Bersani, è in metallo e vetro con un design avveniristico e una logistica così hi-tech da consentire a un ordine inviato per via telematica da New York o da Singapore di mettere automaticamente in movimento le macchine nel magazzino senza il bisogno dell'intervento di un operatore. E l'ordine viene evaso in 24 o al massimo in 48 ore. Design, comfort e tecnologica, dice Palmieri, «sono i tre elementi su cui si fonda Piquadro». E Piquadro è l'azienda leader nel settore della pelletteria di lusso.
La storia. «Un'azienda italiana», chiarisce subito Palmieri il quale di studi ne ha fatti pochi ma ha pur sempre un diploma di perito elettronico preso nel 1984 al Belluzzi di Bologna e alle spalle un biennio di ingegneria elettronica. Confessa: «Studiare mi piaceva poco». E insiste sul concetto di avere fondato un'azienda italiana in quanto, dice, «non si è italiani solo se si fa l'ultima cucitura della borsa nel nostro Paese, questa è un'impresa italiana nella cultura, nel pensiero, nel design, nell'approccio al mercato, nella ricerca. E la conferma viene proprio dalla sede dello stabilimento, una localizzazione decisamente anomala in quanto arroccata in montagna, realizzata con un investimento di otto milioni di euro ma voluta in questo posto in quanto l'Appennino tosco-emiliano è la mia terra». Anche se in realtà Marco Palmieri, classe 1965, è nato a Milano dal momento che alla metà degli anni Cinquanta i suoi genitori, entrambi della provincia di Bologna, si erano trasferiti proprio nel capoluogo lombardo per lavoro: il padre, Antonio detto Tonino, aveva cinque-sei camioncini con cui svolgeva un servizio espresso di recapito di materiali; la madre, Ginetta, aveva un negozio di parrucchiera e poi di profumeria nei pressi di piazzale Maciachini. Nei primi anni Ottanta papà aveva poi ceduto la sua attività e l'intera famiglia Palmieri, aumentata nel frattempo dalla nascita del fratello di Marco, Pierpaolo, più giovane di otto anni, era tornata in Emilia stabilendosi a Granaglione, nei dintorni di Porretta Terme. E lì mamma Ginetta aveva aperto un nuovo negozio di profumi ma anche di cinture e portafogli in pelle.
La lambadina. Sono proprio le cinture e i portafogli a fare accendere a Marco la prima lampadina nel mondo del business: compra prodotti di pelletteria nei laboratori di Rimini e Riccione e poi va in giro a venderli alla guida di una Renault 5 ai negozianti di Bologna, Modena, Lucca. E dal momento che ci guadagna, gli viene l'idea di produrseli per conto proprio. Un po' da incosciente in quanto non ha la minima esperienza ma in compenso ha l'abilità di sapersi arrangiare. Si compra le macchine per cucire e tagliare le pelli, le installa nella rimessa per gli attrezzi che si trova nel giardino di casa, comincia a produrre un centinaio di cinture al giorno, facendosi aiutare in un primo tempo dalla fidanzata che poi nel 1993 diventerà sua moglie, Beatrice Nichele, e in seguito da un paio di collaboratori. Nasce così nel 1987 la Piquadro che ha questo significato un po' cervellotico: la P (che si legge Pi) di Palmieri e di Pelletteria al quadrato. E produce cinture e portafogli per conto terzi. Il guaio è che Marco ha da sempre molti interessi: suona la tromba, ama la fotografia e il motocross. E ha anche una passione per l'informatica al punto da comprarsi i primi minicomputer Sinclair e da imparare da solo a programmare. Anzi, si considera una sorte di «pirata informatico» ante litteram in quanto va in Gran Bretagna, compra i giochini, li copia e li vende. E dal momento che è bravo e vent'anni fa i programmatori erano merce rara, le aziende lo rincorrono e gli assegnano un bel po' di lavori. Marco crea così una società di informatica che per un periodo non proprio breve, una decina d'anni, relega in secondo piano il business della pelletteria. E la Piquadro tira avanti come può lavorando in conto terzi per le maggiori aziende italiane del settore. Dice Marco: «Ha galleggiato».
La svolta. L'azienda galleggia fino a quando Palmieri si rende conto «che il terzismo non porta da nessuna parte». E che la passione per il design e la tecnologia è molto più forte rispetto a tutto il resto. Così nel 1998 lascia perdere l'informatica e decide (con lui è anche il fratello Pierpaolo, l'attuale responsabile commerciale) di fare diventare Piquadro un marchio nella pelletteria di lusso. In particolare borse professionali, di lusso ma non legate alla moda in quanto, dice, «i miei prodotti non cambiano ogni sei mesi». Si affida a un'agenzia milanese per una campagna pubblicitaria e acquista anche un negozio in via della Spiga a Milano. «Un azzardo», riconosce: tra campagna e negozio l'investimento è più o meno equivalente all'intero fatturato dell'azienda, tre miliardi delle vecchie lire. Dà quindi spazio alla ricerca e al design. Dalla borsa con una fibra ottica esterna che si accende di notte a una 24 ore non rigida di nome Modus. Sino ad arrivare alle valigie e ai trolley. E ricorrendo sempre a giovani designer grazie anche ad un'intesa con università e scuole del settore. Ma un design, chiarisce, «orientato alla funzionalità», dai manici a tracolla che non sgualciscono i vestiti ai trolley dotati di un sistema di espansione.
La scelta cinese. Soprattutto Palmieri delocalizza subito parte della produzione in Cina, nei dintorni di Shenzen, anticipando molti imprenditori italiani attratti ancora dall'Europa dell'Est. E anche in questo caso Palmieri rischia molto in quanto spedisce via fax le proposte di collaborazione a una decina di aziende cinesi scelte, dice, «sulle pagine gialle». Solo due o tre rispondono e a loro fa produrre borse e cinture con le pelli che lui acquista nei dintorni di Firenze o nel Veneto e poi spedisce in Cina. «Mi è andata sempre bene», riconosce. Insomma, è anche fortunato. E nel 2003 acquista la metà di una fabbrica nella provincia di Guangdong, mentre l'altra metà è di un cinese, Joe Lee. Un acquisto, dice, «che indica la differenza tra il fare produrre in Cina e il produrre in Cina con il proprio know how. Noi ora produciamo in Cina non alla cinese ma all'italiana. E questo significa salvaguardare la qualità contenendo i costi». Piquadro ha così ottanta dipendenti, in maggioranza donne con un'età media di 31 anni, nello stabilimento-quartiere generale di Gaggio Montano e altri 450 in Cina. Il fatturato è di 33 milioni di euro con un export del 25%, in particolare in Russia e Spagna, le spese per la ricerca ammontano al 7-8% degli affari con un ufficio di tre designer e sette tecnici, la rete distributiva è composta da 18 negozi monomarca (dieci all'estero e otto in Italia) di cui alcuni di proprietà e 250 corner. E nel novembre 2006 nasce la Piquadro Hong Kong grazie ad una joint venture con una trading company cinese specializzata nel distribuire prodotti europei esclusivi nel Far East.
I progetti. Naturalmente Marco Palmieri, il quale ha due figli ancora molto giovani, Tommaso e Andrea, ed ha l'hobby inusuale di leggere libri di matematica, si copre le spalle finanziariamente per potere sviluppare la Piquadro. Come? Lo fa cedendo una prima volta nel 2001 il 25% del capitale ad un fondo di private equity, la Development Capital, e allorché questo fondo esce, lo fa una seconda volta nel 2005 vendendo il 35% a Bnl Investire Impresa.
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