Per una giornata l’Italia mette da parte la dieta mediterranea: almeno per chi ha aderito all’inedito sciopero della pasta voluto dalle associazioni dei consumatori. Nel mirino della protesta gli aumenti dei generi alimentari di base. Secondo la Banca Centrale Europea i prezzi del settore sono aumentati del 30% in agosto rispetto allo stesso mese del 2006. E, nello stesso periodo, secondo la commissaria europea all’Agricoltura Mariann Fischer Boel, i cereali in particolare sono rincarati del 50%. I dati Istat per l’Italia confermano che, di fronte a un’inflazione dell’1,6%, il pane cresce del 4,2% e la pasta del 3%. Ancora peggio la frutta, che lievita di oltre il 6%.
Coldiretti e associazioni dei consumatori (Adoc, Adusbef, Codacons e Federconsumatori) ieri hanno distribuito pane, latte e pasta gratis a Roma davanti a Montecitorio e in piazza Verdi, dove si trova la sede dell’Antitrust. I rappresentanti delle associazioni sono stati ricevuti dal presidente Antonio Catricalà, che ha promesso la vigilanza dell’autorità garante contro «le degenerazioni che si realizzano all’interno del mercato». Anche il ministro dello Sviluppo Economico Pierluigi Bersani mercoledì si era impegnato a impiegare la Guardia di Finanza in controlli approfonditi contro le speculazioni.
Consumatori e agricoltori denunciano infatti la forbice speculativa tra i prezzi alla produzione e quelli al consumo. Dal grano al pane il prezzo sale di 12 volte, dal grano ai dolci di 70 volte. Un kg di pane, che nel 1995 costava in lire l’equivalente di poco più di 1 euro, ora ne costa 2,70. Mentre al coltivatore il grano viene pagato 22 centesimi. E per la pasta, a fronte di un costo finale medio di 1,14 euro, la semola viene pagata 26 centesimi.
La Confederazione italiana agricoltori sottolinea che, mentre i prezzi al consumo aumentano, i prezzi agricoli sono diminuiti in media del 2,8% in un anno. L’aumento dei prezzi starebbe facendo calare i consumi: meno 5,6% nel 2007 per la pasta e meno 6,1% nel caso del pane.
Ma Confcommercio giudica eccessivi gli allarmismi sugli aumenti, sostiene che il prezzo di molti prodotti è cresciuto in misura minore rispetto all’inflazione e si ribella all’uso della parola «speculazioni». Anzi, l’organizzazione dei commercianti bolla lo sciopero di ieri come «una protesta senza senso» e invita a riflettere «sulla mancata crescita dei redditi delle famiglie», chiedendo ai consumatori di protestare piuttosto per ottenere una riduzione della pressione fiscale. Confesercenti invece accusa la grande distribuzione di essere responsabile degli aumenti, visto che «dominando il mercato per il 70% è lei che fa il prezzo».
Come in tutti gli scioperi, anche in questo caso c’è la solita guerra delle cifre: secondo un’indagine telefonica degli organizzatori, il 67% degli italiani avrebbe aderito al boicottaggio. Un successo che, secondo le organizzazioni dei consumatori, «dimostra come l’aumento dei prezzi sia un fenomeno molto sentito dalle famiglie, che non vogliono più subire passivamente le speculazioni. Il governo non può non tenerne conto, e deve intervenire concretamente». Dati difficili da verificare e, facendo un giro nei supermercati, ieri non mancava naturalmente chi aveva pane e pasta nel carrello. Ma l’effetto mediatico è stato comunque raggiunto. Anche all’estero, dove i media internazionali si sono incuriositi per la rinuncia degli italiani al loro alimento simbolo.
E anche dall’opposizione la protesta ha riscosso appoggio.
«La filiera produttiva e distributiva è del tutto fuori controllo - dice Gianni Alemanno di An - e anche un piccolo aumento dei prodotti agricoli è alibi per una spirale inflazionistica che finisce per colpire sproporzionatamente i consumatori».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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