Federico Guiglia
Ma dove vanno i Radicali? A sinistra, tutto lascia pensare, anche se la decisione finale, la decisione di siglare un patto con i socialisti dello Sdi, non è stata ancora formalmente presa. Non solo. Se e quando sarà presa, essa riguarderà poche e concrete cose, non l'universo mondo. Un piccolo, grande programma incentrato soprattutto sul tema dei diritti civili, e che salvaguarderebbe - immaginiamo - la piena libertà dazione per gli esponenti ed eventuali eletti di un movimento che certo non si lascerebbe politicamente imbrigliare né in Parlamento né fuori.
La possibile scelta di Marco Pannella è dettata da diverse e a volte incontrovertibili ragioni; non ultima la delusione che lo storico leader dei Radicali ha provato per le «mancate risposte» del centrodestra e per alcune battaglie non gradite, come quella recente sul referendum per la fecondazione assistita. Anche se, in verità, la «battaglia» del centrodestra è stata solo di contenimento, cioè di non partecipazione al voto, e proprio perché l'iniziativa sottoposta al giudizio dei cittadini appariva ideologica e sbilanciata, nel momento in cui tutta la sinistra, e solo la sinistra, s'era schierata per il «sì». Nel merito non c'è stato alcun verdetto, il che lascia aperta ogni possibilità di verdetto parlamentare quando la nuova legge sugli embrioni sarà stata concretamente sperimentata al di là degli astratti pregiudizi esibiti dalla politica (in un senso o nel suo opposto).
Ma il punto è che i Radicali hanno una funzione che prescinde dagli schieramenti, come testimonia il fatto che i maggiori successi politici da loro ottenuti sono arrivati quando neppure sedevano nelle Camere, italiane o europea, oppure sull'onda di referendum che mettevano in discussione le norme approvate (o non approvate) in Parlamento. E talvolta persino con semplici ma incisive mobilitazioni, tipo quella che introdusse in Italia la questione, all'epoca rivoluzionaria, della «fame nel mondo» con tanto di firme di premi Nobel. Non stavano a destra né a sinistra, i Radicali, eppure colpivano l'immaginario, il cuore e il cervello della gente a destra e a sinistra.
Tant'è che a un certo momento essi provarono a candidarsi allo stesso tempo con partiti diversi - e il più giovane, Giovanni Negri, finì addirittura nel partito più «vecchio», nello Psdi -, consapevoli della forza trasversale che evocavano ed evocano; ma con un magro bottino elettorale. Come se il fatto di buttarsi nella mischia con altre casacche al di fuori della propria, che è senza colori perché piena di colori, non li facesse più riconoscere.
Ecco, buttandosi a sinistra, la pattuglia radicale rischia proprio di perdere la forza della sua identità, che è quella del mosaico, dove prima o poi ognuno può rispecchiarsi in una tessera, e non di partito. Schierarsi a sinistra è incoerente non già perché i radicali non abbiano una prevalente storia «di sinistra» alle spalle, da libertari impenitenti, ma perché, così facendo, essi disperderebbero quell'eredità della destra storica che Pannella giustamente e paradossalmente rivendica. Quel rigore in politica che oggi, per fare un esempio, non porterebbe mai a chiedere il ritiro delle truppe italiane da Bagdad, come accadrà con Romano Prodi se lui e la sua coalizione avranno vinto le elezioni del 2006.
Sinistra libertaria e destra storica convivono in questa strana ma amata formazione liberale che si chiama radicale solo per la radicalità con cui esprime le sue idee e le sue passioni, spesso anticipando i cambiamenti dell'Italia in cammino.
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