Pansa ora chiede le dimissioni e lancia sospetti sui fondi neri

da Roma

A chiedere le dimissioni di Massimo D’Alema e soprattutto di Piero Fassino è uno che li conosce da anni. Fassino «da trent’anni. È piemontese come me». Se nel Bestiario dell’Espresso aveva affilato le armi contro i «citrulli» del Botteghino, in un’intervista con il Corriere della Sera Giampaolo Pansa, penna storica della sinistra, ha affondato il colpo: si devono dimettere entrambi. Dopo la vicenda della scalata Unipol alla Bnl con il terremoto nel mondo delle coop, dopo le intercettazioni delle telefonate Fassino-Consorte, dopo l’«attuale travaglio» della dirigenza Ds (come scriveva ieri Massimo Salvadori sulla Repubblica), Pansa riflette: «Credo che lui e D’Alema dovrebbero offrire le dimissioni agli organi del partito. Darebbero il buon esempio in un Paese dove nessuno si dimette mai. Ma non lo faranno. Alla vigilia del voto, poi». Tredici anni dopo, considera il giornalista, Fassino si trova in un momento simile a quello che sostenne Achille Occhetto ai tempi di tangentopoli: «Sapesse o no della consorteria, come la chiama Galli della Loggia, in entrambi i casi ha danneggiato il partito e anche se stesso».
Gli effetti devastanti del terremoto Unipol potrebbero abbattersi sull’Unione anche in caso di eventuale vittoria: né D’Alema né Fassino «potrebbero assumere un incarico economico: sarebbero troppo sospetti di parzialità». Infine un’ultima domanda: una parte dei 50 milioni destinati a Consorte e depositati a Montecarlo, insinua il dubbio Pansa, «potrebbe essere destinata a settori o persone del partito. In fondo che sappiamo noi della nomenklatura ds?».
È raro trovare un fondo, sulla stampa in generale, e anche su quella di sinistra, che non abbia una punta di polemica nei confronti della Quercia. Si legge per esempio sulla Repubblica con Salvadori: il partito dei Ds «non può nascondere e prima ancora nascondersi la portata del proprio attuale travaglio». I Ds «presentano un’identità sempre più indefinita», con divisioni le «sempre più profonde». Un partito «candidato al governo non deve perdere il senso del dovere della piena autonomia della politica».
Liberazione, quotidiano di Rifondazione, continua a non avere crisi di rispetto eccessive per gli alleati dei Ds. Ieri pubblicava il fondo di Piero Sansonetti, che passando per Niccolò Machiavelli avverte la sinistra: è morto da tempo. «La sinistra del Novecento - scrive Sansonetti - ha sempre scontato questo limite: considerare la tattica (la doppia verità) il sale di tutto, e la presa del potere il fine che ogni cosa giustifica. Su questa strada ha perso. Se vuole rinascere, rinnovarsi davvero, tornare a essere un lume di speranza, la sinistra deve convincersi che i “mezzi” sono importanti quanto i “fini” e che Machiavelli è vecchio. Il contrario esatto di quello che hanno fatto i Ds nella vicenda Unipol».
Il manifesto non si addentra nei problemi interni e nelle intercettazioni di Fassino, ma lancia la sfida: «Divisi si vince».

Nell’editoriale, Andrea Colombo insiste sull’impossibilità per il centrosinistra di presentarsi alle elezioni con una lista unica: «Far finta di nulla, negare l’evidenza - avverte - portare in campagna elettorale il cadavere giurando che sta benissimo, è il classico rimedio peggiore del male».

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