Paolo Poli al Carcano parla come Barbablù

«I giovanissimi devono conoscere la paura, altrimenti non cresceranno mai. Del resto le fiabe sono sempre crudeli»

Matteo Failla

Nell’ambito della stagione «Carcano bambini 05/06» - dopo Il grande Dodò contro il terribile uomo del buio e la commedia musicale Cenerentola con la regia di Saverio Marconi - il Teatro Carcano è pronto ad un altro grande debutto in prima nazionale: oggi e domani andrà infatti in scena Barbablù (da Charles Perrault) con la voce narrante di Paolo Poli, le scene e i costumi di Emanuele Luzzati e la regia di Alfonso De Filippis.
Uno spettacolo per bambini dagli otto ai quattordici anni, adattato dallo stesso De Filippis e da Andrea Farri, che vedrà sul palco tre attori-mimi mascherati, guidati dalla voce di Paolo Poli, che grazie alla scenografia e ai costumi sontuosi e vivaci di Luzzati metteranno a nudo, facendosene beffe, il misterioso castello teatro della truce vicenda e i suoi protagonisti.
Un lettore attento come lei perché ha scelto proprio Barbablù?
«Prima di tutto – afferma Paolo Poli - è una fiaba che finalmente parte con un matrimonio, che di solito è sempre e solo alla fine. E poi tocca temi importanti, quali la paura o la curiosità punita, che vanno affrontati assieme ai bambini. Del resto anche nella Bibbia accadono cose spaventose, ad Abramo viene ordinato di uccidere il figlio Isacco, eppure nessuno parla di immoralità e di cattivi insegnamenti. I bambini, i ragazzi, devono imparare a superare la paura e il timore».
Ma qual è il modo giusto per trattare con i bambini la materia truce e spaventosa di Barbablù?
«Bisogna che l’affrontino di petto, devono conoscere la paura, altrimenti che bambini cresciamo? Tutte le fiabe affrontano temi importanti che possono mettere paura, Pollicino ad esempio narra di due genitori che dicono “Guarda quanti figli abbiamo, perdiamone qualcuno nel bosco”. Meno male che Pollicino è sveglio e se la sa cavare. I bambini hanno bisogno di crescere, e fiabe come quella di Barbablù possono aiutare».
La fiaba è presentata nella traduzione di Collodi?
«Sì, ho usato la sua traduzione di Barbablù, che a mio modo di vedere è davvero geniale e attenta a portare la sontuosa società francese del Re Sole nel più piccolo mondo del Granducato di Pietro Leopoldo di Toscana. Collodi si è “fatto le ossa” anche lavorando sulla traduzione delle fiabe di Perrault, dalle quali cui prenderà spunto per il suo Pinocchio».
Ma che rapporto hanno i bambini di oggi con le fiabe?
«Purtroppo non esistono più le nonne di una volta, o meglio, esistono ma sono solo simpatiche e belle signore di una certa età. Sembra ormai definitivamente persa l’usanza di raccontare una fiaba al proprio figlio o nipote, eppure la lettura della favole non può essere sostituita da null’altro. Andando avanti così si perderà l’immaginazione. I nuovi e differenti mezzi di comunicazione hanno ormai spazzato via l’antica abitudine della narrazione e della lettura. Speriamo che la vecchia Europa ritrovi presto la propria tradizione».


Il suo nuovo progetto «Fior di Fiaba» mira allora a recuperare questa tradizione? Ha già in programma altri racconti per ragazzi?
«Per carità! Non chiamiamolo progetto. Al giorno d’oggi vanno tanto di moda questi nomi usati a sproposito. Al Carcano ci sarà la prima di Barbablù, vediamo come andrà e poi si deciderà».

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