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Papà Maldini: «La coppa si vinceva senza i giornalisti»

Mezzo secolo di coppa Campioni. Cesare ricorda l’avventura del Milan, prima italiana a partecipare. Rilassanti trasferte in treno e la tv senza interviste

Tony Damascelli

Cinquant’anni. Sono passati cinquant’anni e Cesare Maldini al tempo aveva ventitré anni bellissimi per un mulo triestino destinato a grandissime imprese (quattro scudetti e una coppa dei Campioni), trasmesse poi in eredità al figlio Paolo.
La coppa ha cambiato insegna, chiamasi Champions League, non è più riservata ai primi della classe e della classifica ma anche a chi è stato rimandato a settembre, in alcuni casi addirittura bocciato. Il fascino antico è stato rivisto e corretto dal logorio del calcio moderno, il torneo dei pionieri è diventato l’appuntamento degli squali. Torno ad animali da tiro e da soma.
Dunque il mulo, che ha qualche ruga in più, prova a riordinare la soffitta dei ricordi, sbuffando come sa quando l’argomento lo coglie di sorpresa: «Così è troppo comodo, voi sfogliate un almanacco, controllate una data e tirate giù l’articolo, con tutti i dettagli. Ma io ho bauli di partite, come posso fare? Chi si ricorda quello che è accaduto cinque anni fa, figuratevi cinquant’anni fa».
Lasciamo i bauli e incominciamo dallo scrigno, novembre 1955, giorno 1, il Milan debutta in coppa dei Campioni contro il Saarbrucken, squadra tedesca.
«Ah, sì andammo dai minatori. Non offendo nessuno, voglio dire che quella era la terra delle miniere».
Precisiamo, per favore, quell’«andammo». Come, dove, quando, perché?
«Beh, si viaggiava in treno, scompartimenti da quattro, due di qua, due di là, dirimpetto, grandi partite a carte, quindi trasloco in vagone ristorante e pranzi da signori, ma da veri signori. Queste erano le trasferte».
Alla voce «Aerei» nemmeno un tentativo, una prenotazione, una parola?
«Guardi che anche per i viaggi a Palermo o a Catania si andava giù con il vagone letto, si partiva la sera da Milano centrale, si dormiva, si giocava, si mangiava e si sbarcava sull’isola, dopo trasferimento in ferry boat. Anche se con l’aereo...».
Anche se con l’aereo?
«Millenovecentocinquantadue, gioco con la Triestina a Palermo, si va da Ronchi dei Legionari a Punta Raisi; salgo a bordo di un bimotore, quello con una sola gomma là davanti e il muso che quasi va a baciare la pista in fase di atterraggio. Ho una fotografia dell’evento, mi vengono i brividi, per non dire altro, soltanto a guardarla. Madonna mia che viaggio, che impresa».
Torniamo alla cdc, insomma alla coppa dei Campioni che si chiamava così in onore di chi era davvero campione del Paese suo.
«Era un torneo nuovo, prestigioso perché riuniva le scuole calcistiche più importanti, una specie di campionato europeo per club d’élite, dunque una vera e propria avventura con tante sorprese. Lo stadio in Germania, quello del Saarbrucken, non era per la quale, ma nel turno successivo fu subito Vienna e poi il Bernabeu di Madrid. Ricordo che Beraldo aveva una paura matta dell’aereo che usammo soltanto per il viaggio in Spagna. Lui partì tre giorni prima, così evitava di tremare e di farci tremare tutti».
E le partite? Che aria tirava? Che cosa si è tenuto stretto da allora?
«Non ho conservato nulla, non sono un collezionista, anzi sono un po’ zingaro in certe cose. Ricordo che l’atmosfera era comunque rilassata, non così tesa e ossessionante come è diventata oggi, per qualsiasi manifestazione, dalle amichevoli in giù. Non c’erano conferenze stampa, non c’erano gli sponsor e le televisioni per le interviste a bordo campo o in albergo. Si giocava a football e basta. Insomma non c’erano tutte le preoccupazioni che oggi invece accompagnano una partita internazionale, di Champions dico».
Nessun ricordo di Bonizzoni o di Puricelli che erano i vostri mister del tempo?
«Ho sentito Cina qualche giorno fa, ha il cuore rossonero sempre caldo. Puricelli era un uomo Milan, mi spiego: se avevamo bisogno di notizie del Sudamerica ci pensava lui, era una garanzia».
Maldini, lei è una delusione, nemmeno un ricordo spiccio, una curiosità, un asterisco!
«Potrei rispondere facilmente: ma se non avevate libri e giornali a portata di mano forse vi sareste accorti che cade il cinquantesimo anniversario della coppa dei Campioni? Io vi posso dire che allora il Milan era già una bella realtà del calcio europeo ma il Saarbrucken non lo conosceva nessuno e la storia della coppa ha poi ribadito questo concetto. Mi date qualche notizia del Saarbrucken, per favore?».
E lei, cinquant’anni dopo, che cosa pensa?
«Penso che sia arrivato il momento di finire questa intervista alla ricerca di un ricordo perduto.

Non ne ho più».

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