Il Papa: «Azioni ferme contro l’intolleranza»

Quest’ultimo è rappresentato dalla possibilità che il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, annunciato in arrivo già quest’oggi sulle rive del lago svizzero, trasformi la tribuna delle Nazioni Unite in un palco per un nuovo comizio anti-Israele. Non è un’ipotesi di pura retorica. Gli iraniani si sono opposti a lungo, nei lavori della commissione che ha predisposto i testi dell’appuntamento, a limare le posizioni fortemente anti-israeliane già varate a Durban. Tant’è che da Gerusalemme sono partite critiche vivacissime all’indirizzo del presidente svizzero Hans Rudolf Merz, il quale ha accettato di incontrare Ahmadinejad. E con la stessa forza Teheran ha cercato di impedire il «taglio» dei capitoli in cui l’intolleranza religiosa - soprattutto nei confronti dell’Islam - doveva essere equiparata a una forma di razzismo. Atteggiamento dunque da condannare e da reprimere.
Proprio il dissidio nato su questi due temi, ha convinto alla fine tanto gli Usa di Obama che altri Paesi (Canada, Australia, Nuova Zelanda, Italia e Olanda) a chiamarsi fuori dai lavori della conferenza. «Inaccettabile il progetto di dichiarazione finale in cui si vuol mettere la religione prima dei diritti dell’uomo, si negano le discriminazioni contro l’omosessualità e si mette Israele sul banco degli imputati» ha tagliato corto il ministro degli Esteri dell’Aia Maxime Verhagen. «Non abbiamo alcuna garanzia che la conferenza non sia utilizzata come un forum per esprimere opinioni ingiuriose, in particolare antisemite», gli ha fatto eco il suo collega australiano Stephen Smith.


E ancora in parecchi (tra cui i cechi che avevano un appuntamento ieri sera a Praga) devono decidere se presenziare o meno a un summit che, comunque, ha perso peso rispetto a quanto previsto. Tant’è che l’alto commissario Onu per i diritti umani Navi Pillay, sudafricana di origine Tamil, si è detta ieri «scioccata e profondamente delusa» dalla conferma della diserzione degli Stati Uniti all’appuntamento.

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