Il Papa commosso prega davanti alla Sindone

nostro inviato a Torino

«Mi sembra che guardando questo sacro telo si percepisca qualcosa della luce della resurrezione...». Sono le 17.40 quando Benedetto XVI, nel momento culminante della sua visita a Torino, s’inginocchia davanti alla Sindone. Con lo sguardo fisso sul telo di lino, che porta impressa la misteriosa immagine di un uomo morto in croce, come ogni pellegrino il Papa prega, in silenzio, muovendo impercettibilmente la bocca. Era già venuto nel Duomo di Torino nel 1998, da cardinale in occasione di una precedente ostensione. Questa volta però è diverso, e lo dice lui stesso, raccontando di vivere questa sosta «con particolare intensità: forse perché il passare degli anni mi rende ancora più sensibile al messaggio di questa straordinaria icona; forse, e direi soprattutto, perché sono qui come successore di Pietro, e porto nel mio cuore tutta la Chiesa, anzi, tutta l’umanità».
La meditazione di Ratzinger davanti alla Sindone, che definisce «telo sepolcrale, che ha avvolto la salma di un uomo crocifisso in tutto corrispondente a quanto i Vangeli ci dicono di Gesù», è dedicato al mistero del Sabato santo, cioè a quel giorno e mezzo nel quale rimase nel sepolcro, il giorno «del nascondimento di Dio», del «grande silenzio» e della «solitudine». Davanti al sacro telo, Benedetto XVI ricorda le tragedie del secolo scorso, che hanno reso l’umanità «particolarmente sensibile al mistero del Sabato santo», perché «il nascondimento di Dio fa parte della spiritualità dell’uomo contemporaneo, in maniera esistenziale, quasi inconscia, come un vuoto nel cuore che è andato allargandosi sempre di più». Ratzinger cita Nietzsche, che scriveva: «Dio è morto! E noi l’abbiamo ucciso!». Un’espressione, spiega, che «a ben vedere, è presa quasi alla lettera dalla tradizione cristiana».
«Dopo le due guerre mondiali, i lager e i gulag, Hiroshima e Nagasaki – dice ancora il Papa – la nostra epoca è diventata in misura sempre maggiore un Sabato santo: l’oscurità di questo giorno interpella tutti coloro che si interrogano sulla vita, in modo particolare interpella noi credenti». Ma la morte di Gesù «ha un aspetto opposto, totalmente positivo, fonte di consolazione e di speranza. E questo mi fa pensare al fatto – aggiunge Ratzinger – che la sacra Sindone si comporta come un documento “fotografico”, dotato di un “positivo” e di un “negativo”. E in effetti è proprio così: il mistero più oscuro della fede è nello stesso tempo il segno più luminoso di una speranza che non ha confini», di un amore che ha penetrato «anche nello spazio della morte».
Per il Papa, dunque, la Sindone, letta con gli occhi della fede, fa percepire «qualcosa» della luce della risurrezione: «Io penso che se migliaia e migliaia di persone vengono a venerarla – senza contare quanti la contemplano mediante le immagini – è perché in essa non vedono solo il buio, ma anche la luce; non tanto la sconfitta della vita e dell’amore, ma piuttosto la vittoria, la vittoria della vita sulla morte, dell’amore sull’odio». Questo è il «potere» della Sindone, icona «scritta col sangue», conclude il Pontefice, soffermandosi in particolare sullo squarcio presente nel costato, quella macchia «fatta di sangue ed acqua usciti copiosamente da una grande ferita procurata da un colpo di lancia romana, quel sangue e quell’acqua parlano di vita. È come una sorgente che mormora nel silenzio, e noi possiamo sentirla, possiamo ascoltarla».


Benedetto XVI, che in mattinata aveva celebrato la messa in piazza San Carlo e nel pomeriggio ha incontrato i giovani, ha concluso la sua visita tra i malati del Cottolengo, dando concretezza al motto dell’ostensione della Sindone 2010, «Passio Christi, Passio hominis», la passione di Cristo e quella dell’uomo: «Tutti i poveri - ha detto citando il Cottolengo - sono i nostri padroni, ma questi che all’occhio materiale sono così ributtanti sono i nostri padronissimi, sono le nostre vere gemme».

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