L’ultimo dell’anno c’è stato un messaggio del Papa, fuori dei testi ufficiali, riservato, personale, ma in fondo diretto a ciascuno di noi. Invece che una frase, un fatto. Monsignor Georg Gänswein, segretario particolare del Pontefice, si è recato a Subiaco il giorno di San Silvestro, mandato dal suo principale. Lì, in una struttura protetta per persone con disturbi mentali, sta Susanna Maiolo, la ragazza svizzera di 25 anni che la notte di Natale in San Pietro ha saltato d’un balzo le transenne e si è appesa a Benedetto XVI trascinandolo a terra. (E con il Papa ha fatto cadere anche il cardinale Roger Etchegaray, per il quale a 87 anni è stata una faccenda grave: rottura del femore).
Padre Georg è andato da Susanna, che è già stata a lungo in un manicomio elvetico, e si è accertato del suo stato d’animo, ha detto che il Santo padre credeva nella sua buona intenzione e comunque la perdonava, e lo diceva anche a nome del cardinale basco-francese ferito. Con tanti auguri e il dono di un rosario. Non si sanno le risposte della ragazza. È tornato e ha riferito.
Abbiamo appreso tutto questo da una persona molto prossima al Pontefice, confidando nella riservatezza del restante prossimo: impossibile. Lo so e lo dico. Giravano molte critiche tra parroci e fedeli per il silenzio del Papa. Non una parola su che cosa abbia pensato, sulle sue emozioni, se abbia perdonato o no. È vero: l’episodio è stato in sé marginale rispetto ai misteri liturgici delle feste, ma è finito sulle prime pagine e nei titoli d’apertura di quotidiani e tg in tutto il mondo. Il giudizio ha obbedito al pregiudizio: trattasi di un Pastore tedesco, gelido, superficialmente sorridente e in realtà legato alla dottrina più che all’umanità. Anche tra gli autorevoli commentatori l’uomo Joseph Ratzinger passa per un Papa incapace di grandi gesti risonanti sul palcoscenico del mondo. Dunque in fondo, nell’epoca dove conta l’immagine e la forza dei gesti, rispetto alla profondità dei pensieri e dell’annuncio, ecco Benedetto XVI consegnato all’incomprensione e alla solitudine.
Viene involontario il paragone con Giovanni Paolo II: egli dominava il gran teatro del mondo, faceva forza al destino, spezzava il fato, come un gigante, e lo era davvero. Anche se non c’è paragone possibile rispetto all’attentato di cui è stato vittima Wojtyla, Ratzinger ha vissuto tutto in tono minore, non ha rivendicato la protezione della Madonna, né ha ringraziato Dio ai microfoni per lo scampato pericolo (a quell’età cadere, con i pesanti paramenti pontificali, può essere un fatto molto serio). Così non si è recato di persona come fece il Grande Polacco ad ascoltare chi cercò di ucciderlo. Le telecamere hanno consentito persino di leggere le parole: Agca non chiese perdono, ma solo di che cosa fosse questa Fatima cui il Papa attribuiva il miracolo del proiettile deviato.
Ratzinger ha un altro destino, se preferite un diverso disegno della Provvidenza. Non ha avuto (Deo gratias!) il pessimo dono di un killer turco musulmano, ma una svizzerotta senza lampi mistici. Riceve minacce atroci dai siti islamisti, in cambio i mass media occidentali liberal lo trattano da reazionario. E ora da insensibile.
Invece si scopre che la sua vita è quella di un semplice umile cristiano, che non si mette al centro di niente, neanche quando lo mettono in prima pagina. Ed è capace di perdono, amicizia, speranza anche se gli attribuiscono solo odio per «la dittatura del relativismo» quasi che la sua visione del mondo si riducesse a questa sua amara critica. Come siamo ciechi: questo Papa minimo è grande nell’amore e nell’umiltà.
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