Il Papa alla Sinagoga "Vi spiego perché oggi si fa la Storia"

Parla David-Maria A. Jaeger, uomo chiave del dialogo tra Vaticano ed ebrei: "È un giorno fondamentale per i rapporti tra Israele e Santa Sede. Le incomprensioni sono più mediatiche che reali". Su Pio XII: "Un cristiano dai meriti eccezionali". La rete clandestina di Pacelli che aiutava gli ebrei

Il Papa alla Sinagoga 
"Vi spiego perché 
oggi si fa la Storia"

Roma Padre David-Maria A. Jaeger, francescano, israeliano, è un docente di diritto canonico, specializzatosi nei rapporti tra Chiesa e Stato in Israele, di cui si occupa da oltre trent’anni. Collabora con la rivista La Terra Santa ed è un esperto nel dialogo tra il Vaticano e Israele. Il Giornale lo ha intervistato alla vigilia della visita di Benedetto XVI alla Sinagoga di Roma.
Perché è importante e che cosa ci si può aspettare dalla visita del Papa in Sinagoga?
«Personalmente penso che lo sia soprattutto per i rapporti tra la Chiesa e lo Stato, in Israele. In fondo è soprattutto in Israele che il Popolo Ebraico vive e si esprime pienamente. Spero che la riconferma della singolare fratellanza che lega la Chiesa al Popolo Ebraico abbia sempre maggior risonanza nel rapporto Chiesa-Stato in Israele. Ci sono ancora numerose questioni che attendono di essere regolate da accordi che facilitino il rapporto Chiesa-Stato, in Israele. Così, per esempio, l’assistenza religiosa ai carcerati, ai militari, ai degenti negli ospedali, ma anche il rilascio dei permessi di soggiorno per il personale ecclesiastico proveniente da altri Paesi».
Di recente si sono verificati alcuni incidenti di percorso nel dialogo. Sono superati?
«Nel contesto attuale degli ottimi rapporti di amicizia che ci sono tra i cattolici e gli ebrei, questi “incidenti di percorso” sono più mediatici che reali. È certo che come accade in un rapporto tra due, una parte può non percepire sempre perfettamente tutte le sensibilità dell’altra, ma questo vale in entrambe le direzioni. Penso ad esempio all’offesa recata senza volere ai cattolici di tutto il mondo dalla didascalia calunniosa sotto la foto di un grande Papa, esposta in un significativo museo ebraico di Gerusalemme. L’importante è essere sempre consapevoli che l’altra parte è veramente amica, che ti vuol bene e che perciò non avrebbe mai fatto nulla per addolorarti. E allora ci si parla serenamente e tutto si chiarisce e si risolve».
Come guarda a questo pontificato il mondo ebraico?
«Lo conosce poco. Infatti un compito urgente del dialogo sarebbe proprio quello di ottenere una migliore conoscenza della Chiesa e della sua fede da parte del mondo ebraico. Negli ultimi decenni la Chiesa giustamente ha fatto e fa moltissimo per diffondere tra i cattolici una miglior conoscenza degli ebrei e dell’ebraismo - ma a molti sembra che uno sforzo analogo sia ancora da intraprendere da parte ebraica, soprattutto in Israele».
La comunità ebraica ha criticato il via libera alla beatificazione di Pio XII. Lei, da cattolico membro del Popolo Ebraico, come giudica la sua figura?
«Il giudizio è già stato emesso da Benedetto XVI: è stato un cristiano dai meriti del tutto eccezionali, che ha esercitato le virtù umane e cristiane in grado davvero eroico. Questo giudizio non impedisce una discussione serena e rispettosa su qualche scelta operativa del pontificato. Il punto non è se una determinata scelta prudenziale si sia rivelata, a posteriori e secondo qualcuno, la migliore che si potesse fare, ma se la scelta fatta sia comunque stata motivata da un animo generoso e retto, fatta con coraggio e bontà, come lo sono sempre state le scelte di Pio XII, specie durante la guerra e in relazione all’immane tragedia della Shoah. Era, in fondo, la scelta coerente e costante di salvare tutte le vite ebraiche che poteva, e ne ha salvato davvero numerose, evitando mere dichiarazioni che, a suo prudente giudizio, avrebbero sicuramente limitato di molto - e forse tolto del tutto - la possibilità di questo aiuto concreto e che avrebbero finito con l’aggiungere sofferenza su sofferenza».
Lei ritiene che l'antigiudaismo cattolico esista ancora?
«Pur cattolico per tutta la mia vita da adulto - ho 55 anni e ne avevo 18 al tempo del battesimo - non me ne sono mai accorto, non ne ho mai visto alcun esempio».
Quali sono i campi per l’impegno comune di ebrei e cristiani?
«L’individuazione di questi campi risulta dalla lettura del comune patrimonio delle Scritture Ebraiche, nel contesto delle sfide attuali.

Si può pensare alla tutela della sacralità e inviolabilità della vita umana, dal concepimento alla morte naturale; alla salvaguardia del creato; alla solidarietà che nasce dal riconoscimento dell’unità del genere umano; alla giustizia - si pensi, per esempio, alle nuove forme di sfruttamento del lavoro, ma anche all’esigenza di libertà per i singoli e per i popoli; all’intero arco dei diritti umani, radicati nella rivelazione biblica, e soprattutto al diritto alla libertà da ogni coercizione sociale e civile in materia di coscienza e di religione».

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