In quel giorno tristissimo e afoso dellestate 2006 quando Rafael Sobis lascia Porto Alegre per la maglia del Betis, non cè tifoso che riesca a trattenere le lacrime. Allora, così raccontano da quelle parti, il presidente Fernando Carvalho prende il microfono e fa: «Un figlio che ci ha regalato la coppa Libertadores oggi se ne va. Ma non rimarremo soli perchè stiamo nascondendo in casa un fenomeno, tifosi smettete di piangere». Quel viso da bambino di Alexandre Rodrigues Da Silva, detto Pato, papero, perchè da Pato Branco arrivava, non era così nascosto come il presidente immaginava, la sua abilità con la palla era conosciuta e la curiosità di scoprire fino a quale piano sarebbe salito era tantissima. Ogni impresario brasiliano che riusciva a non addormentarsi sulla sua scrivania seguiva Pato dalletà di 7 anni, aveva iniziato a giocare a calcetto a tre e a undici era entrato a far parte del Gremio Industrial Patobranquense, modestissimo club della galassia Gremio in cui stava facendosi i muscoli Ronaldinho Assis Gaucho. È allincirca in quei giorni che Pato conosce lIstituto di Ortopedia traumatologica di Pato Branco del dottor Paulo Roberto Mussi. Ce lo porta lì un tumore osseo, operato, curato e rimesso in campo. Nessuno si era dimenticato di lui, la sua guarigione ha dellincredibile, è già un metro e ottanta quando a 16 anni è il fenomeno incontrastato del campionato nazionale under 20, nel novembre 2006 vola in Giappone grazie a Sobis e conquista il mondiale per club con il numero 11 sulla schiena, segnando un gol contro lAl Ahly che gli vale il titolo di più giovane marcatore in una competizione ufficiale Fifa a 17 anni e 102 giorni. Era un record di Pelè. Così Pato diventa losservato speciale della stampa mondiale, per qualcuno è il nuovo Ronaldo, per Ronaldinho è il suo erede, per altri è la sintesi perfetta di un Romario in area piccola e un fremito di Bebeto sulla trequarti.
Resta un baby fenomeno di 18 anni a settembre e unincognita nel futuro del Milan.
Perderà il volto butterato, gli daranno il benvenuto al club della serie A, prenderà cazzotti sui fianchi e randellate alle caviglie. E se continuerà a palleggiare con la spalla destra per trenta metri, qualcuno gli farà sapere che il calcio è un lavoro duro. Poi magari il papero si trasformerà in cigno.