Politica

La parabola e il tonfo

Dalla vicenda Telecom vien fuori una doppia parabola su Romano Prodi. La prima riguarda la sua ascesa e caduta, la seconda è una storia esemplare da ricordare a scopo didattico e morale.
Ascesa e caduta. Il presidente del Consiglio di fronte a chi chiedeva che il governo riferisse in Parlamento su un certo documento che il suo più stretto collaboratore, Angelo Rovati, aveva inviato a Marco Tronchetti Provera quale suggerimento per il riassetto di Telecom più gradito a Palazzo Chigi, rispondeva alle sollecitazioni con un aulico e istituzionale «siamo matti!».
Non era solo la risposta di un uomo in crisi di nervi, ma anche il sintomo di un politico che nella sua ascesa non stava più con i piedi per terra. Nel giro di pochi giorni, quella frase da testo psicanalitico si è via via affievolita, fino a scomparire.
Le critiche dell'opposizione, i dubbi assai poco amletici ma molto pratici della sua maggioranza si sono trasformati in un invito a scomparire (le dimissioni) per il suo più stretto collaboratore e in un invito a comparire (in Parlamento) per il presidente del Consiglio.
Rovati l'altro ieri ha offerto su un piatto cinese la sua testa. Il tonfo si è udito da Pechino fino a Roma, ma resta da chiarire come possa Romano Prodi sottrarsi al confronto con Montecitorio e Palazzo Madama. Prodi, regolamento parlamentare alla mano, potrebbe decidere di mandare un ministro a rispondere alle interrogazioni del centrodestra. E sembra questa la sua intenzione. La politica però oltre che forma è anche sostanza. E la sostanza è che Rovati non è un elemento accidentale della politica prodiana, è stato il protagonista della sua campagna elettorale, l'uomo delle nomine, il mandarino che decideva le sorti della nuova nomenklatura, l'amico con il quale condivideva tutto, ma chissà per quale gioco del destino lo teneva all'oscuro di un piano per la ristrutturazione di un gigante industriale del Paese.
Didattica e morale. Il piano di riassetto di Telecom a cui lavorava Rovati in realtà era poco artigianale e molto politico. Le linee delle telecomunicazioni in Italia si incrociano sempre con quelle della politica. L'ipotesi di una nazionalizzazione della rete rispondeva a un disegno preciso: rafforzare l'asse tra Prodi e l'ala sinistra dell'Unione. Il presidente del Consiglio, uomo senza partito, vaso di coccio tra i vasi di ferro dei Dl e dei Ds, ha un bisogno disperato di puntellare la sua posizione facendo leva in particolare con i programmi di stampo bertinottiano, «nazionalizzare» è una delle parole d'ordine che echeggiano nelle stanze di Rifondazione (ieri Folena ha ribadito il concetto: «Il piano Rovati non va buttato nel cestino») e il dirigismo prodiano, il piano per la costituzione di una nuova Iri (di cui Prodi fu guardacaso presidente) trovava suo naturale sbocco nell’affluente sinistro dell’Unione. Interessi che nascono su piani e sponde diverse, ma diventano coincidenti: da una parte Prodi che si sarebbe seduto al tavolo del nascente Partito Democratico con una nuova Iri alle spalle, dall’altra l’ala sinistra dell’alleanza soddisfatta per il ritorno dello statalismo, ai margini del tavolo, D’Alema e Rutelli a dividersi gli avanzi di un menù politicamente indigeribile.
Fin qui la politica. Per soprammercato quel piano è finito anche sul tavolo della magistratura e ce ne sarebbe davvero abbastanza da far meditare le dimissioni al Presidente del Consiglio.
C’è da scommettere che Prodi stavolta non sarà disarcionato dai suoi colleghi della maggioranza.

Ma da questa storia uscirà ammaccato, indebolito e (forse) ripudiato da quegli industriali e banchieri che finora sono stati il suo «partito».

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