In Paradiso con «l’Hymne» di Messiaen

da Milano

Mito comincia in Paradiso: Olivier Messiaen, musicista francese del secolo scorso, ci sta di casa, con la sua anima mistica, la sua voglia di farci sentir Dio nella bellezza, e con il suo Hymne au Saint-Sacrement senza parole, ci mette nella voglia di accogliere tutto con beatifica felicità. Il breve brano con la sua ampia orchestra è del 1932, Messiaen sembra raccogliere tutto della cultura francese e della musica internazionale per disegnare un poema sinfonico sulla mappa di un percorso di fede: più avanti, dopo la tragedia della guerra, il suo linguaggio unirà la sapienza della tradizione e l’auscultazione della natura nello stesso libero pellegrinaggio. Ascoltavamo l’Ymne in apertura del concerto alla Scala, che inaugurava il lungo mese di Mito, e pensavamo che non c’era autore più adatto per farci da maestro nella lunga avventura degli incontri con musicisti ed epoche e generi diversi. Ed esemplare era l’esecuzione di Mariss Jansons con la Royal Concertgebouw Orchestra: fraseggio ad ampie campiture, eloquenza, pace. Poi, c’è stata La mer di Debussy, poema sinfonico del 1905, in cui molti direttori s’inzuppano con effetti deliziosamente imbarazzanti, e che ha però un’altra grandezza, nella sua costruzione ad incastri e apparizioni e riapparizioni di spunti, a ondate, a giochi di colore e di luce, finché nasce, doloroso, trascinante, il grande tema finale: chi lo conosce ne aspetta l’arrivo come si aspetta quello della Rhapsody in Blue di Gerswhin, idee e sensazioni musicali che s’impossessano della nostra memoria.
Anche qui, Mariss Jansons e l’orchestra, dove tutti sono concordi, gli ottoni luccicano e gli archi affondano il suono con bellezza commovente, ha dato una misura di bellezza e di tranquillità; e poi ha offerto i Tableaux d’une exposition di Musorgskij strumentati da Ravel, con tanta calma e chiarezza da farceli sembrare troppo brevi, con la voglia di rimanere lì a godere le rifrazioni infinite della creazione del grande russo nella tavolozza squisita del francese.

In pittura, non si potrebbe avere un Tintoretto restaurato da Tiziano, ma in musica tutto è possibile, perché tutto è in moto. Poi, ci sono stati due bis: l’Intermezzo dai Pagliacci di Leoncavallo e la Farandole dall’Arlésienne, come un saluto rutilante inutile ma di successo travolgente.

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