Paradossi L’uomo di «garanzia» eletto solo coi voti della sinistra

Continua a ripetere di essere un uomo «super partes», ma quella di Giorgio Napolitano al Quirinale, il 10 maggio del 2006, fu un’elezione tutta targata sinistra. Ci vollero quattro votazioni, dopo giorni di trattative, per trovare l’accordo per portare al Colle l’esponente «migliorista» del Pci. E non fu possibile raggiungere una larga convergenza. Nel centrodestra che all’epoca era ancora Casa delle libertà, solo l’Udc premeva per il «sì» al primo capo dello Stato ex comunista della storia d’Italia. Ma, con qualche defezione, anche i centristi poi si adeguarono alla linea unitaria della coalizione. E, alla fine, il conto delle preferenze dimostrò quello che già si sapeva dalle dichiarazioni: 543 voti contro i 505 necessari al raggiungimento del quorum. E tutti, ma proprio tutti, soltanto dell’Unione. La parola d’ordine del centrodestra era stata scheda bianca. E scheda bianca fu, quasi compatta. La Lega infatti preferì far confluire le preferenze - alla fine furono 42 - sul proprio leader, Umberto Bossi. Il ruolo dei franchi tiratori fu piuttosto irrilevante. In dissenso rispetto alle indicazioni della coalizione, dichiarandolo, votarono Marco Follini, all’epoca fresco di abbandono dell’Udc, partito del quale era stato segretario, e Giulio Andreotti.

Le schede bianche, a riprova della compattezza della posizione del centrodestra, furono 347; quattordici le schede nulle, dieci le disperse. Oltre al leader del Carroccio Umberto Bossi ebbero voti anche Massimo D’Alema (10), Giuliano Ferrara (7), Gianni Letta (6), Silvio Berlusconi (5), Sergio Pininfarina (3) e l’allora sindaco di Trieste Roberto Di Piazza.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica