Politica

Il paradosso dell’ex leader di An: rinfaccia il comunismo a Bondi

di Gianni Pennacchi

Vadano i fuorionda imbarazzanti e le confidenze inquietanti, passi la pulsione edipica a liberarsi del padre, comprensibile anche la lotta per salir sul podio del numero uno. Tutto si potrebbe perdonare a Fini, anche l’essersi fatto madonna pellegrina dell’opposizione intera, da Di Pietro al Manifesto passando per Casini e Bersani. Ma perché prendersela col buon ministro Bondi? E in modo così maldestro poi, sgradevole e non certo esaltante per la legittimità che ogni sua altra azione politica può rivendicare. E passi anche il vulnus al galateo istituzionale, che imporrebbe alla terza carica dello Stato di non risuonare offensivo mai, specie all’indirizzo di un esponente del governo che egli stesso ha contribuito ad insediare. Ma come può, uno con la storia di Gianfranco Fini, rimproverare a Sandro Bondi «io sono presidenzialista convinto dai tempi in cui lui militava nel Pci»? Non si meravigli, se qualcuno sorride pensando al bue che dice cornuto all’asino.
Bondi è uomo mite e buono, scrive poesie e mai risponderà che quando era comunista, l’altro era neofascista e nostalgico di Salò. Ieri s’è detto «particolarmente amareggiato» per l’esternazione di Fini a Ballarò, ed ha pacatamente spiegato le ragioni per cui una persona come lui, «proveniente dalla storia del Pci che Gianfranco Fini ha giustamente ricordato, non poteva e non può riconoscersi nel giustizialismo che la sinistra ha abbracciato». Ma basta questo, per il numero due del Pdl che porta il Manifesto a scrivere che «nessuno si meraviglierebbe se si mescolasse ai manifestanti» del NoBday, sabato a San Giovanni? Per non dire del Fatto, quotidiano giustizialista di Padellaro e Travaglio, che titola in prima pagina annunciando «Fini capo dell’opposizione», ormai goscista doc perché pronuncia «parole pesantissime che il Pd non osa dire». E poi gli applausi da spellar le mani che scrosciavano dagli spalti di Ballarò per l’agnizione di Fini, il compagno ritrovato. Non c’è che dire, nella percezione collettiva dell’intero arco politico, il presidente della Camera ha superato a sinistra anche Bersani, non solo D’Alema.
Risiamo agli opposti estremismi d’antan, quelli che non potevano non ricongiungersi? Però è vero, Fini era già presidenzialista quando Bondi cantava ancora Bandiera rossa la trionferà. Da giovane, come tutto il Msi di Giorgio Almirante. Che era presidenzialista e favorevole alla pena di morte.
Sia chiaro, meno male che si cresce e si cambia, solo le facce di bronzo non cambiano idea ed espressione. Ma che bisogno c’era di rimarcare, seppur «con amabilità», quei «tempi in cui lui militava nel Pci»? È vero, Bondi era un «cattocomunista», i compagni lo chiamavano «ravanello», rosso fuori e bianco dentro, ha fatto il sindaco della sua Fivizzano per due anni, sino al ’92 quando la sua giunta di sinistra fu rovesciata da Psi e Dc. Però ha ricominciato in Forza Italia nel ’94, a 35 anni. Fini ne aveva 43, quando nello stesso anno prese ad abbassare la Fiamma.
Mitico 1994, quando per un seggio a Montecitorio nel 24° collegio della capitale, si fronteggiavano Fini e Pannella. E sarà pur vero che il nostro è un paese senza memoria storica, ma negli archivi si conserva un volantino fatto distribuire dal leader radicale, che rimarcava come i due fossero «sempre su due fronti opposti, Fini sempre dalla parte sbagliata». Anno per anno. E vi diamo solo Fini perché dove fosse Pannella è scontato:
1972, contro il riconoscimento dell’obiezione di coscienza.
1974, con Fanfani «e i clericali» contro il divorzio.
1977, con Dc e Pci, per il finanziamento pubblico dei partiti.
1978, «per mantenere la speculazione sugli aborti clandestini».
1987, a favore del nucleare.
1990, «alla corte di Saddam, contro l’embargo sull’Iraq».
1993, firme per la pena di morte, «in carcere i tossicodipendenti», a difesa del proporzionale.


Brisa par criticher, ma la sola posizione lungimirante sembra essere quella sul nucleare. Ma chi lo dice a Ballarò e Manifesto?

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