Sono i paradisi acquatici d’Italia dove si salvaguarda (o si cerca di salvaguardare)l’ambiente marino. Dietro l’acronimo «Amp» ci sono le Aree Marine Protette, nate con l’obiettivo di proteggere e ripopolare ambienti marini di particolare interesse, contrastando l’azionedi degrado che deriva dai comportamenti dell’uomo tramite accessi regolamentati e restrizioni. Attualmente le Amp sono 27, oltre a due parchi sommersi, e tutelano complessivamente circa 222mila ettari di mare e circa 700 chilometri di costa. Vi è inoltre il Santuario Internazionale dei mammiferi marini, detto anche Santuario dei Cetacei, che si trova a nord della Corsica. La loro gestione è affidata a enti pubblici, istituzioni scientifiche o ambientaliste. Solo in alcuni casi l’ente gestore è la Capitaneria di Porto o il Parco nazionale a cui è affidata la parte terrestre dell’Amp. La «filosofia di protezione» delle Amp si basa sulla divisione in zone. Se la A - quella principale - è completamente chiusa a qualunque attività che possa danneggiare o anche minimamente disturbare l’ecoambiente, la B- di riserva generale- ha una regolamentazione meno stringente che cerca di abbinare i principi istitutivi delle Amp con la possibilità di utilizzo del mare. A chiudere il circolo, la zona C- detta di riserva parziale - che fa da cuscinetto tra le due precedenti e la parte esterna dell’area protetta. Qui sono in genere permessi, con un occhio di riguardo ai cittadini residenti, la navigazione a motore a velocità ridotta, l’ormeggio, l’ancoraggio e la pesca sportiva. Per tutta una serie di ragioni - a partire dalla scarsa volontà iniziale di trovare una regolamentazione comuneil rapporto tra nautica e aree marine protette non è stato semplice. La svolta è arrivata con il protocollo d’intesa firmato nel 2008 dai ministeri dell’Ambiente e dei Trasporti, dalla Capitaneria di Porto, da Federparchi e dalle principali associazioni nautiche e ambientaliste. L’accordo ha portato a una revisione dei criteri di accesso alle Amp, recepita poi dai regolamenti delle singole aree: è stata introdotta quindi una classificazione degli scafi basata sugli impatti reali e su misure di premialità che riconoscono le ridotte emissioni dei propulsori di ultima generazione. Fatta salva la protezione integrale delle zone A, il via libera per le zone B e C è consentito invece ai natanti e alle imbarcazioni eco-compatibili, in linea con la direttiva «2003-44-Ce»,ovvero dotati di motori entro o fuoribordo a quattro tempi a benzina, a due tempi con iniezione diretta ed entrobordo diesel, motori elettrici o alimentati con bio-carburante. Altro requisito richiesto è la presenza a bordo di casse nere e casse grigie per la raccolta dei liquami. Nelle aree tutelate, tuttavia, non si possono superare i 5 nodi di velocità nella fascia dei 300 metri dalla costa e i 10 nodi tra i 300 e i 600 metri. Quindi occorre molta attenzione. Tanto più che altre 17 aree sono di prossima di istituzione e ulteriori 5 sono state indicate come «meritevoli di tutela». Tutto bene, quindi? Non proprio. Il sistema delle Amp, infatti, procede molto lentamente verso quella uniformità di regole da più parti invocata. E molto lentamentecontinua a recepire i criteri indicati dal Protocollo della Nautica.
Ma c’è il rischio che tutti gli sforzi (e le aspettative) vengano vanificati dai Sic ( ennesima sigla che sta per Siti di interesse comunitario). Si teme, cioè, che i Sic vengano affidati in maniera autonoma non solo alle regioni, ma anche ai comuni. Altro che uniformità di regole! Sarebbe una vera anarchia.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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