La Parenti sicura: «È nei servizi segreti»

«La provenienza di Antonio Di Pietro è in una struttura parallela ai servizi segreti. Di Pietro su questo non ha mai fatto chiarezza...».
Le parole sono attualissime. E chi parla, l’ex pm di Mani pulite, ex deputato ed ex presidente della Commissione anfimafia, Tiziana Parenti, è una voce più che autorevole. Solo che la dichiarazione riportata non è affatto attuale. Anzi, ha ben tredici anni. Tredici anni durante i quali quelle denunce, di Titti “la Rossa” ma non solo, sugli oscuri legami tra Tonino e i servizi segreti sono rimaste lettera morta. E tali, forse, sarebbero rimaste sino ad ora, se il leader Idv, tentando di giocare d’anticipo, non avesse gridato al complotto sul suo blog.
Ma c’erano, c’erano eccome le denunce, su quei rapporti, alquanto anomali per un magistrato, con i servizi. Già 13 anni fa, appunto. È il settembre del 1996. A dare la stura, l’allora presidente del Cnel Giuseppe De Rita, che dalle colonne del Tempo lancia l’allarme che provoca un putiferio: «Da Tangentopoli e dalla vicenda mafiosa stiamo uscendo con un apparato di potere costituito dall’intreccio tra pubblici ministeri, polizia giudiziaria e forse servizi segreti incontrollabile e incontrollato che ci deve preoccupare». Un allarme grave, subito raccolto dall’onorevole Parenti, che cita espressamente Di Pietro in un’intervista al Tg delle 20 di Telemontecarlo. La Parenti conferma la contiguità dell’ex pm - nel frattempo ministro di Prodi - ai servizi segreti: «La sua provenienza – dichiara – come risulta a Brescia, è in una struttura parallela ai servizi segreti. Su questo Di Pietro non ha mai fatto chiarezza». I tempi televisivi sono tiranni. All’agenzia di stampa Ansa, invece, Titti dice un po’ di più. Afferma di essere pienamente d’accordo con De Rita e spiega che la «connessione» tra pm, polizia e servizi segreti deriverebbe da «una politica scientifica» del Pci, che «sin dalla fine degli anni ’60» avrebbe «allevato una certa magistratura e politicizzato la polizia».
È una bagarre. I giornali ne parlano per giorni. La sinistra insorge, Di Pietro minaccia querele e poi denuncia. Ma qualche anno dopo, a febbraio del 2000, il tribunale di Bergamo gli dà torto e sentenzia: non luogo a procedere.
Tre mesi dopo l’analisi della Parenti si fa ancora più dettagliata. Dalle colonne di Repubblica, sentita da una giornalista di punta del quotidiano di Scalfari, l’attuale direttora dell’Unità Concita De Gregorio, Titti la Rossa «spara – parola di Concita – colpi di cannone». Contro tutti: Scalfaro, il Pds, Borrelli. E Di Pietro. «Quello che dico – afferma – è tutto documentato in carte riservate in possesso della procura di Milano. Basterebbe indagare partendo da una domanda semplice: perché è cominciata Tangentopoli? Cos’è successo nella procura di Milano dal ’90 al ’92?». La Parenti è un fiume in piena: «È successo – continua – qualcosa a cui le indagini del Gico sono arrivate molto vicino, ed è per questo che le vogliono fermare. È successo che prima di Mario Chiesa c’erano altri, e in particolare un imprenditore che aveva, non so a che titolo, colloqui stretti con Di Pietro e che lo teneva in contatto con certi ambienti, per così dire, ambigui, in Italia e Oltreoceano».
Ambienti ambigui? Oltreoceano? L’onorevole Parenti racconta un viaggio negli Usa, contatti con la Cia. Dice che Di Pietro, attraverso l’imprenditore suo amico della quale la Parenti non fa il nome, entra in contatto «con ambienti del dipartimento di giustizia Usa». E che nei mesi che intercorrono tra l’arresto di Mario Chiesa (febbraio ’92) e l’entrata nel vivo di Mani pulite «va in America. La Cia – aggiunge – voleva far fuori il Psi e certa parte della Dc, perché non più affidabili. Caduto il muro di Berlino, crollato il comunismo, bisognava fare piazza pulita della vecchia classe politica e il Pds poteva essere un interlocutore affidabile. Allora Di Pietro va, e ottiene la legittimazione. La sua rete di rapporti, in Italia, è pronta».
Anche questa volta è un putiferio. Di Pietro querela l’ex collega pm e la giornalista.

La Camera fa scudo, sostiene che quelle dichiarazioni sono protette dall’immunità. E gli atti finiscono alla Consulta. La Parenti torna sul tema anche in altre occasioni, in dibattiti pubblici. Ma la sua voce resta inascoltata. Inascoltata. Ma perfettamente attuale oggi. A tredici anni di distanza.

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