Il Parlamento al centro dei giochi

Paolo Armaroli

La documentata inchiesta condotta dal Sole 24 Ore sull’attività parlamentare è senza ombra di dubbio meritoria. Tuttavia lascia un po’ in ombra due aspetti di non secondaria importanza. Sul primo, concernente il ruolo giocato dal Parlamento nel nostro ordinamento democratico, si è intrattenuto da par suo il presidente della Camera. Nonostante tutto, rileva Pier Ferdinando Casini, la centralità del Parlamento non può essere messa in discussione. Lo testimoniano «le migliaia di emendamenti che costringono il governo ad una serrata spiegazione su ogni singola disposizione»; gli oltre tremila emendamenti approvati, novecento dei quali presentati dall’opposizione; gli stessi decreti legge, l’81 per cento dei quali è stato convertito con modificazioni. Così come lo testimonia il numero delle sedute dedicate alla funzione legislativa e di controllo, di gran lunga superiori a quelle degli altri Parlamenti europei.
C’è poi un secondo aspetto che merita la più attenta considerazione e da Casini è appena accennato. Quando il Sole 24 Ore afferma che il Parlamento è «soffocato» dal governo e lamenta il poco spazio concesso alle iniziative legislative di deputati e senatori dice sì il vero ma ha il torto di non rimarcare il passaggio dalla democrazia più o meno consociativa a quella maggioritaria. Quella consociativa era caratterizzata dalla cosiddetta conventio ad excludendum, in forza della quale le ali dello schieramento politico non avevano titolo in ragione della loro ideologia per accedere al governo. E di conseguenza gli emendamenti, in sostanza concordati tra maggioranza e opposizione, rappresentavano il rimedio a una democrazia senza alternanza.
Ma dal 1994 tutto è cambiato. Prima le leggi elettorali in larga misura maggioritarie, approvate a furor di popolo, e poi la discesa in campo di Berlusconi hanno rivoluzionato il sistema politico. È entrato in scena quel bipolarismo vagheggiato fin dai tempi del nostro Risorgimento e mai compiutamente realizzato perché da Cavour in poi tutti i presidenti del Consiglio dovettero piegarsi allo stato di necessità. E, con il bipolarismo, si è fatta finalmente largo quella democrazia maggioritaria che è la regola nei Paesi del mondo occidentale. Di qua e di là dall’Atlantico. In questo nuovo contesto i governi non sono più fatti e disfatti dal Parlamento o, peggio, dalla partitocrazia. Sono battezzati direttamente dal popolo sovrano, che assegna la palma della vittoria a una delle due coalizioni, designa il primo ministro e approva il programma di governo stipulato dal leader vincente con gli elettori.
Nelle democrazie maggioritarie i governi hanno il diritto di tradurre senza eccessivi intralci il proprio indirizzo politico in concrete misure legislative. Con tutti i mezzi previsti dall’ordinamento. Strumenti, si badi, da noi di gran lunga meno efficaci che altrove. È poi del tutto naturale che le leggi di iniziativa governativa facciano la parte del leone un po’ dovunque. Nel 2004 sono state il 91 per cento in Francia, il 71 per cento in Germania, l’87 per cento nel Regno Unito e addirittura il 100 per cento in Spagna. In Italia in questa legislatura si registra un leggero incremento rispetto a quella passata, quando il centrosinistra era al potere: 80,6 per cento contro il 76,9. Siamo quindi al di sotto della media europea. Ma allora dove mai sta quella centralità del Parlamento sottolineata da Casini? Sta soprattutto nei poteri di controllo, che in questi ultimi tempi sono stati convenientemente potenziati.
Ormai non siamo più una mosca bianca. E il nostro governo non è più la Cenerentola d’Europa. Come lamentava Spadolini ai tempi suoi.


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