Macché democrazia svilita, dialettica ridotta, Parlamento immobile. Il dibattito politico non è mai stato così rorido di interventi e prese di posizione. Peccato che - invece di duellare sul prosaico campo di riforme e giustizia - i parlamentari preferiscano una contrapposizione più alta e nobile: quella tra Checco Zalone e Cetto Laqualunque.
Già, dopo anni di convegni sulla miglior forma di governo da dare all’Italia, scopriamo che tutto si può risolvere con un bipolarismo perfetto di stampo cinematografico. Altro che Berlusconi e Prodi, Berlusconi e Bersani, Berlusconi e Di Pietro: la coppia che fa parlare la politica e divide più di Coppi e Bartali è Checco & Cetto. Ognuno col suo accento, ognuno diverso (eppure squisitamente terrone), ognuno con il suo codazzo di ammiratori e detrattori. Tanto che l’idea sorge spontanea: e se si candidassero loro alle Politiche?
In un ideale talk show televisivo, da una parte ci sarebbe Antonio Albanese, alias il politico tutto gessato e malcostume Cetto Laqualunque. Impostazione clientelare, vaga dizione calabra, ossessione mascolina per le «vagonate di pilu». Con lui la procace e pugnace Alessandra Mussolini, che però è tra i Qualunquisti moderati: «Preferisco il suo personaggio, unisce divertimento e riflessione». Più «falco» il ministro della Difesa La Russa, che mena fendenti contro l’avversario comico, manco fosse il no global Caruso: «Zalone mi ha profondamente deluso, non capisco il successo dei suoi luoghi comuni». Con lui, il democratico Portas, secondo cui «la prova del degrado di questo Paese è Zalone che fa il record di spettatori, mentre qualche anno fa vinceva Benigni». Curioso, ricorda chi critica Berlusconi con la nostalgia per il Pentapartito. Insomma, il Qualunquista è intransigente, va all’assalto frontale contro il leader cabarettista, nato allo Zelig e cresciuto a orecchiette e trulli. Zalone si dimetta dalla vetta del botteghino e lasci la presidenza della Camera. Pardon, della sala cinematografica.
Sull’altra sponda, gli Zalonisti. Meno avvelenati, gaudenti, interpreti della maggioranza (del pubblico). Loro sono portatori di «equilibri più avanzati», rispondono «all’ostruzionismo con l’ostruzionismo», come il Pannella dei bei tempi. In prima fila per il comico pugliese si schiera l’ex Guardasigilli Mastella, protagonista di un endorsement coi baffi: «Zalone è naturale e disinvolto, in Cetto Laqualunque l’ironia è troppo marcata». E se Mastella si muove, c’è da scommetterci che Zalone gli ha promesso qualcosa. Forse un Oscar. O un posto in prima fila in platea. Con Checco e il suo Che bella giornata lotta e combatte anche l’ecologista Realacci: «Da lui dobbiamo imparare a essere semplici». Un governo della «non sfiducia».
Certo, c’è poi chi ha talmente introiettato la Democrazia cristiana da non prendere posizione neppure in questo caso. Il Terzo polo tra Checco & Cetto si rifà al leghista Caparini. Sì, proprio un lumbard, che invece di disinfettarsi a ogni battuta di sapore meridionale, apprezza il fatto che «entrambi siano fortemente connotati territorialmente e facciano ricorso al dialetto». Una convergenza parallela in nome del federalismo cinematografico. Mentre il ruolo dell’extraparlamentare, che disprezza tutto e tutti e non sta né con Cetto né con Checco proprio come negli anni ’70 non si stava «né con lo Stato, né con le Br», spetta al finiano Malgieri: «Entrambi sono specchi deformati dal luogocomunismo». Un compromesso storico all’insegna della critica.
Insomma, siamo già in campagna elettorale e i toni sono accesi. Resta solo un dubbio. Trasferiamo la disputa al 1976. Anni duri, che a confronto la tensione di questi giorni è roba da cartone animato.
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