L'unico dato certo delle schermaglie che settimanalmente mettono brio nella maggioranza di centro-destra è che i tre partiti sono condannati a stare insieme. Se inserissimo in un computer i dati con tutte le simulazioni possibili scopriremmo che la Meloni, anche se fosse tentata, avrebbe dei problemi a rompere questa coalizione per andare alle elezioni visto che per lei in ogni caso sarebbe una sconfitta. Per Salvini, ugualmente, un Papeete 2 si trasformerebbe in un boomerang letale. Stesso discorso vale per Forza Italia che attraversa una fase delicata come quella del dopo Berlusconi. Inoltre con le opposizioni messe male, indisponibili (la Schlein e Conte) a governi di larghe intese, non ci sarebbe nessuna alternativa al voto e i parlamentari- è noto - guardano le urne come i tacchini il Natale. Ragion per cui le polemiche sono fuochi di paglia che servono solo ad accendere la speranza di chi soffre un esecutivo di centro-destra.
Semmai per il governo i problemi sono altri. Innanzitutto che si combini poco data la delicata congiuntura economica e la drammatica fase internazionale (due guerre insieme alle porte di casa sono un unicum dal '45). Accettata l'idea che i margini di bilancio pretendono una politica prudente, su altri temi come la giustizia però si potrebbe osare molto di più.
Poi, altra patologia, la sindrome del «sospetto» che a lungo andare avvelena i pozzi. Al detto andreottiano «a pensar male spesso ci si azzecca», bisognerebbe aggiungere la parafrasi «ma se esageri ti fai male». Lo insegnano Re Lear e il Macbeth. Ecco, non favorisce l'unità dentro la maggioranza e crea nemici all'esterno. Ieri pace fatta tra Palazzo Chigi e il sottosegretario azzurro, Barachini, sulla nomina del presidente del comitato sull'intelligenza artificiale: alla fine, come previsto, ci andrà Giuliano Amato. Si era arenata non perché quando nacque il WEB il dottor Sottile aveva 50 anni suonati, ma perché il caso Gianbruno-Striscia la notizia aveva fatto nascere, appunto, dei sospetti nel Premier.
Eppure ci vuole poco a comprendere che il partito della Meloni e Forza Italia sono sulla stessa barca. Hanno gli stessi nemici: un mese fa Report, la trasmissione di Rai Tre dal sensibile mirino politico puntato sempre verso il centro-destra, aveva sparato su Fratelli d'Italia (dalla Santanchè a La Russa); domenica scorsa, ad urne aperte, sul partito fondato da Silvio Berlusconi. Comportamenti che non sono piaciuti neppure alla Meloni che avrebbe fatto un discorsetto a chi si occupa di RAI: Report non va chiusa, però.
I sospetti, poi, possono anche indurre a errori di valutazione all'esterno. Ad esempio, nelle diatribe che accompagnano il divorzio nei gruppi parlamentari tra Renzi e Calenda ieri il Presidente del Senato ha dato una mano al secondo a danno del primo. Al capogruppo di Italia Viva, Enrico Borghi, che ha tentato di capire il perché, La Russa ha regalato una battuta scherzosa: «Renzi incute più timore».
Magari l'ex premier paga la fama di «ammazza governi».
Solo che se si coltivassero meno sospetti (non esistono le basi di una crisi), invece, di stare appresso alla nomea, si presterebbe più attenzione alle affinità programmatiche che legano il centro-destra più ad una formazione di centro che non a chi già sta nel «campo largo» con Conte e la Schlein.La verità è che il governo rischia di farsi male da solo o per diffidenza, o per masochismo: al posto dei sospetti ci vorrebbero nervi saldi e sangue freddo.
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