Parmalat, assemblea al fotofinish

La lista di Bondi al 15%. Sanpaolo e Intesa non ci saranno, Capitalia orientata a non partecipare

da Milano

A poche ore dall’assemblea di Parmalat il futuro assetto della società è ancora incerto. L’appuntamento per gli azionisti del gruppo alimentare è fissato a Parma alle 11 di oggi, ma ancora non si sa chi, tra i soci di peso, si presenterà. Secondo fonti ufficiose dovrebbero essere state depositate azioni corrispondenti a una quota tra il 35 e il 40% del capitale. Secondo fonti bancarie la quota sarebbe inferiore, vicina al 30%.
Il numero e l’identità dei presenti in questo caso potrebbero essere decisive. Secondo la nuova formulazione dell’articolo del codice civile che regola le assemblee societarie (il 2368) le astensioni vengono valutate come un voto contrario. Il risultato è che l’unica lista di candidati al consiglio di amministrazione, quella guidata da Enrico Bondi, potrebbe non farcela ad aggiudicarsi la maggioranza (50% più uno dei voti presenti) richiesta per la nomina. Dalla sua parte infatti il commissario straordinario ha sicuramente un gruppo di fondi anglosassoni (in tutto una dozzina o poco più) coordinati dalla banca d’affari Lehman e riuniti per l’assemblea in un patto di sindacato che gli garantisce poco più del 7% dei voti. Secondo le interpretazioni prevalenti la lista, in cui figurano manager di primo piano come Vittorio Mincato (ex Eni) e Marco de Benedetti (ex Telecom Italia), può contare anche su simpatizzanti per un altro 8%, tra cui i produttori di latte fornitori della società. In tutto, dunque, un 15% circa.
Se in assemblea si presentasse il 40% del capitale, la nomina di Bondi e dei suoi si giocherebbe sul filo dei numeri. Tenendo conto soprattutto di un elemento: molti tra gli istituti di credito azionisti di Parmalat (e da Bondi citati in giudizio) per motivi di immagine non potrebbero sostenere un voto contrario al «risanatore» del gruppo di Collecchio, e potrebbero invece molto più facilmente spiegare un’astensione.
L’impressione è dunque è che sul voto in calendario per oggi si sia innestata una complessa e durissima trattativa tra il Commissario straordinario e le banche, divisi da cause e richieste di risarcimento per molti miliardi di euro, e che quest’ultime stiano usando fino all’ultimo l’arma del voto.
Si spiega così il fatto che in pochi abbiano deciso di scoprire le carte. È il caso di Intesa che ha dichiarato di non voler presentarsi, così come il San Paolo. Nessuna posizione ufficiale invece da parte di Ubs e Bank of America. Capitalia, che per il suo peso (il 5,5% del capitale) potrebbe risultare decisiva ai fini del conteggio finale, sembrava in tarda serata orientata a non partecipare, pur non avendo assunto una decisione formale.

Potrebbe addirittura votare per Bondi invece Deutsche Bank (che peraltro ha solo lo 0,40%). «In molti casi la decisione definitiva», spiega il rappresentante di un istituto straniero, potrebbe essere presa pochi minuti prima dell’assemblea».

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