A Parmalat il primo round: respinto il ricorso francese E la Cdp scende in campo

Il tribunale di Parma dà torto ai francesi, ma Lactalis non intende abbandonare la partita. Anche se l’istanza di sospensione contro il rinvio a fine giugno dell’assemblea deliberato dal cda di Collecchio è stata respinta, infatti, la società d’Oltralpe, azionista con circa il 29% di Parmalat, «è fiduciosa sugli sviluppi della vicenda e continuerà a proporre il proprio piano di sviluppo industriale di lungo periodo, nella convinzione di agire nell’interesse di Parmalat, dei suoi dipendenti e dei suoi stakeholders».
Lactalis cerca insomma di minimizzare la portata della decisione del giudice, ma dovrà comunque decidere - e in tempi non lunghissimi - se proseguire la battaglia legale o puntare a un accordo con la cordata italiana a cui stanno alacremente lavorando, sotto l’egida del governo, le banche, in primis Intesa Sanpaolo, Granarolo nel ruolo di capofila industriale e la Cassa depositi e prestiti.
E una tappa importante del percorso si è compiuta ieri: dall’assemblea totalitaria della Cdp infatti è arrivato il via libera all’unanimità alle modifiche statutarie che le consentiranno di assumere partecipazioni in società di rilevante interesse nazionale - come appunto Parmalat . a condizione che possiedano una serie ben precisa di requisiti, fissati nero su bianco dalla Cassa in una nota emanata subito dopo l’assemblea, a cui ha partecipato, tra gli altri, il presidente della fondazione Cariplo e dell’Acri Giuseppe Guzzetti, fautore dell’investimento delle fondazioni in Cdp. Le società su cui puntare devono cioè essere «caratterizzate da una stabile situazione di equilibrio finanziario, patrimoniale ed economico, e da adeguate prospettive di redditività», spiega la nota della Cassa. Inoltre, c’è un altro paletto fondamentale: l’intervento è possibile solo a favore di aziende sane. No quindi agli investimenti in società strategiche che si trovino però in situazione di crisi economica e finanziaria o rischino di trasferire alla Cassa degli oneri derivanti da processi di ristrutturazione in corso.
La nota - sottoscritta sia dal ministero dell’Economia, titolare della maggioranza del capitale della Cdp (che dal 2003 è una società per azioni, dopo essere stata a lungo una direzione generale del Tesoro), sia dalle 66 Fondazioni bancarie che detengono il 30% del capitale - prevede inoltre che «le suddette partecipazioni potranno essere acquisite anche attraverso veicoli societari o fondi di investimento: nel caso di acquisto mediante utilizzo di risorse provenienti dalla raccolta postale, le stesse sono contabilizzate nella gestione separata di Cdp».
In effetti,la raccolta di fondi con cui Cdp svolge il suo core business, cioè il finanziamento degli investimenti pubblici, avviene soprattutto attraverso l’emissione di buoni fruttiferi postali e libretti di risparmio (che godono della garanzia diretta dello Stato, come Bot e Cct).

La Cdp si è dunque adeguata al cosiddetto decreto «omnibus» e ora attende il provvedimento del ministero dell’Economia che fisserà i requisiti per le società strategiche italiane che debbono essere difese da scalate ostili.

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