Parodia e ironia, il miglior Soderbergh

Avvince «Intrigo a Berlino» con il giornalista George Clooney a Potsdam nel ’45

Brulica di film la scatola cinese di Intrigo a Berlino di Steven Soderbergh (in originale The Good German, cioè «Il buon tedesco»). Dal bianco e nero firmato con pseudonimo dallo stesso regista, affiorano classici sopravvalutati (Casablanca e Notorious); curiosità da cineteca (Gli assassini sono tra noi e Germania anno zero); gioielli che le tv non mostrano più (Scandalo internazionale e Il terzo uomo) o non hanno mostrato quasi mai (Verboten e I vincitori). Eppure Intrigo a Berlino non è la sagra del déjà vu. Qui nessuna soluzione è quella che prevede il cinefilo; nessun personaggio è come sembra, buono o cattivo per nazionalità. Morale evidente, alla fine: i tedeschi sono stati debellati, ma il mondo non è migliore.
Sodale di Soderbergh, George Clooney interpreta un giornalista inviato a Berlino, per la conferenza di Potsdam (luglio 1945) fra Churchill, Stalin e Truman. Ha l'aria di un personaggio di Bogart, ora il Rick di Casablanca, per l'amore adulterino ritrovato; ora lo Spade del Mistero del falco e il Marlowe del Grande sonno, per le botte che prende. Questo inviato progressista prende anche cantonate; quanto alla donna che ama e ai militari occupanti, sono solo ignobili. Non siamo agli albori della Guerra fredda? Dunque in luglio tutti col soprabito... Non ci può essere sole dove c'è la guerra, pretende tanto cinema di ieri. Soderbergh non si allinea, ironizza suoi luoghi comuni.
Tra parodia e ironia, Soderbergh firma il suo miglior film.

Si badi al filotto distribuito dalla Warner fra autunno e inverno: Flags of our Fathers e Lettere da Iwo Jima di Eastwood; The Departed di Scorsese; Blood Diamond di Zwick; ora Intrigo a Berlino e, presto, 300 di Snider. Da quanto non succedeva?

INTRIGO A BERLINO di Steven Soderbergh (Usa, 2006), con George Clooney, Cate Blanchett. 107 minuti

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