Economia

Parte la consulenza finanziaria a pagamento

Parte la consulenza finanziaria a pagamento

La consulenza a pagamento è ormai una realtà. I player specializzati del settore snocciolano dati positivi, persino migliori delle aspettative, per dimostrare che le proposte di consulenza erogate nel 2009 hanno superato gli obiettivi prefissati. Tuttavia, su questo nuovo business, la concorrenza è forte. Spietata. Operatori tradizionali, come banche e promotori, devono confrontarsi con nuove figure (sim di consulenza o advisor indipendenti) che, brandendo la bandiera dell’autonomia, sono pronte a conquistarsi una larga fetta di mercato. C’è davvero posto per tutti? Esiste un modello di consulenza che può prevalere? In che modo vengono remunerati i consulenti?

A queste domande hanno provato a rispondere esponenti di primo piano di banche, reti di promotori, delle private bank, sim di consulenza e consulenti finanziari indipendenti, al convegno La consulenza finanziaria a pagamento. Gli attori in campo, le organizzazioni che cambiano, la sfida sulle parcelle, organizzato da BancaFinanza nell’ambito dell’It Forum di Rimini.  Introdotto dal direttore Angela Maria Scullica e moderato dal giornalista Marco Muffato, l’incontro ha visto la partecipazione di Cesare Armellini, presidente di Nafop; Elio Conti Nibali, presidente di Anasf; Zeno D’Acquarone, presidente di Ascosim; Carlo Giausa, direttore servizi di investimento di Finecobank; Antonio Marangi, direttore mercato di Banca Ipibi; Lodovico Mazzolin, responsabile area prodotti e pricing del gruppo Mps; Gianmaria Mossa, responsabile marketing e private di Banca Fideuram; Piermario Motta, dg di Banca Generali.

 

piattaforma informatica Può apparire sorprendente che tra i protagonisti di questa fase pionieristica della consulenza finanziaria in Italia, accanto alle grandi reti della distribuzione finanziaria, le sim di consulenza e gli advisor indipendenti, spicchi uno dei giganti del sistema bancario, Montepaschi. Eppure la scelta del gruppo Mps guidato dal presidente Giuseppe Mussari e dal direttore generale Antonio Vigni è stata meditata. «Da alcuni anni abbiamo abbandonato il modello di banca universale che prevedeva la produzione al proprio interno», ha spiegato nel corso del suo intervento Mazzolin. «L’obiettivo del top management è stato centrato sul cambiamento di paradigma della nostra attività, decidendo di investire sul servizio prima ancora che sul prodotto. Quindi ci siamo focalizzati sulla consulenza finanziaria e abbiamo deciso di dismettere la produzione (nel 2008, infatti, il gruppo Mps ha realizzato la joint venture con Axa per la creazione di un polo assicurativo e ha ceduto, per 1,15 miliardi di euro, il 50% della compagnia Montepaschi vita; a settembre 2008 è stato ceduto il 67% della Sgr Mps asset management per 350 milioni, ndr)».

Quindi spazio alla consulenza finanziaria tassativamente a pagamento, «fatta in maniera  industriale e personalizzata, con un brand comune per il family office, il private banking e la rete dei promotori: quello di Mps advice», ha aggiunto l’esponente del gruppo Mps.

I servizi  di consulenza avanzata di Mps advice sono veicolati attraverso una piattaforma proprietaria e offerti come un servizio formale, indipendente dalla vendita. E i risultati non si sono fatti attendere: «Ormai da noi l’advice è realtà: abbiamo 17 miliardi di masse che sono gestite con logiche di asset allocation e di verifica nel tempo. Il 13%  della clientela opera secondo questa logica, utilizzando diverse forme contrattuali: dalla consulenza semplice che si basa sulla proposta di portafoglio ai servizi di monitoraggio».

Nel 2009 la banca ha erogato circa 140.000 proposte di consulenza, un numero superiore all’obiettivo prefissato di 100.000 proposte. «Da quando è partita l’attività di consulenza vanno a buon fine 5 mila proposte la settimana, per un totale di 200 mila proposte», ha commentato il responsabile area prodotti e pricing del gruppo Mps. E il futuro è un allargamento del perimetro d’azione del servizio. «La nostra prossima sfida è di estendere il servizio di advice alla protezione della persona e alla previdenza», ha aggiunto Mazzolin.

Nella consulenza a pagamento è entrata con decisione un’altra delle big five della distribuzione finanziaria: Banca Fideuram. L’istituto del gruppo Intesa Sanpaolo ha lanciato un sistema di consulenza evoluta denominato Sei che prevede anche il supporto di una piattaforma informatica per gestire a un tempo le esigenze del cliente e le soluzioni di investimento con un attento controllo del rischio.  Ma cosa si intende per consulenza evoluta? «Vuol dire», ha affermato nel corso del suo intervento Mossa, «far firmare al cliente un contratto remunerato in cui si va a prestare un servizio sull’intera ricchezza, per valorizzarla tenendo sotto controllo tutti gli aspetti del rischio. Il progetto è partito a giugno del 2009 e in sei mesi, con solo parte della rete operativa sul servizio, abbiamo portato sotto consulenza a pagamento oltre 4 miliardi e 8 mila clienti, per un controvalore di asset sotto advice di circa 500 mila euro a cliente».

 

intervento formativo Per una realtà bancaria che è entrata di prepotenza nel settore della consulenza remunerata, ecco l’esperienza della rete di promozione finanziaria che l’advice l’ha sperimentato per prima nel nostro Paese. «Finecobank da sempre è considerato un incubatore di idee all’interno del gruppo», ha esordito Giausa. «Con il brand di Xelion (il manager si riferisce alla esperienza nell’advice di Unicredit Xelion Banca, i cui promotori a seguito della fusione nel luglio del 2008 entrarono in Fineco, ndr), ben prima dell’avvento Mifid, partimmo con il progetto di advice: nel 2006 furono alcune migliaia i clienti, per primi in Italia, a pagare la parcella. Siamo stati, quindi, anticipatori del mercato».

Ma l’impegno nella consulenza a pagamento di Finecobank è dovuto passare per alcune tappe obbligate. «Nel periodo successivo al crac di Lehman Brothers, a seguito di fusioni societarie, abbiamo rivisto il sistema informativo, decisione necessaria per mettere il promotore nelle condizioni di svolgere in maniera efficace il nuovo servizio di advice», ha sottolineato Giausa, aggiungendo che «siamo ripartiti con la formazione dal 1° gennaio 2010, mettendo  in aula quasi metà della rete, poco meno di 1.000 promotori. Un intervento formativo massiccio per il quale è più appropriato parlare di rivoluzione metodologica più che culturale dovendo mettere tutti i colleghi nelle condizioni di  fare analisi del portafoglio di un cliente prospect di un’altra banca. Attualmente contiamo su un gruppo di formatori di rete di 50 persone e progressivamente la formazione interesserà tutta la rete, manager compresi». Al momento il servizio è riservato a una clientela affluent e upper affluent con un patrimonio minimo da investire di 150 mila euro. In particolare, si rivolge ai clienti che, per esperienza, hanno già avuto un approccio alla pianificazione e per i quali il progetto advice è la naturale prosecuzione di un percorso iniziato con il promotore.

 

architettura aperta Un altro grande competitor della promozione finanziaria è sceso in campo nell’advice remunerata: Banca Generali. «Per fare consulenza bisogna avere davvero un’architettura aperta», ha detto, esprimendo il suo punto di vista sul tema, Motta. «La nostra società ha l’80% dei propri attivi in prodotti di terzi o come sottostanti o acquisiti direttamente. Abbiamo valutato la consulenza a pagamento come ulteriore opportunità, dando per scontato che tutta la nostra clientela fosse già seguita secondo logica consulenziale. Ormai quasi tutte le reti hanno un livello superiore al 90% di contratti ai sensi della Mifid».

Banca Generali ha realizzato con Morningstar una piattaforma dedicata alla consulenza negli investimenti denominata Bg Advisory, uno strumento  per analizzare tutto il patrimonio del cliente, compresa la parte in gestione a banche terze. «Con questa piattaforma completamente indipendente abbiamo superato il  problema di conflitti d’interesse. Cosa va sotto consulenza? Tutti gli attivi del cliente che siano presso di noi o presso altri istituti di credito rientrano nel raggio d’azione del monitoraggio. Stiamo parlando di alcune migliaia di Etf, piuttosto che 3.500 obbligazioni sul Mot, piuttosto che tutti i 5.000 fondi presenti sul mercato italiano. Risparmio gestito e amministrato e attraverso proxy anche il mercato assicurativo. Essendo in una fase iniziale abbiamo puntato su una fascia medio-alta della clientela in questa prima fase di rilascio della piattaforma. «Il futuro della consulenza a pagamento? Siamo meno ottimisti di altri sullo sviluppo di questo mercato: ci vorrà parecchio tempo prima che la clientela accetti questa logica», è stata la conclusione di Motta. 

Chi crede, invece, nel futuro della consulenza a pagamento è Marangi. Il direttore mercato Banca Ipibi lancia, però, un ammonimento: «Chi svolge l’attività di promotore finanziario si trova ad avere uno scenario molto diverso rispetto a qualche anno fa, molto più povero per le tasche dei promotori ma anche delle aziende. Non vorrei che la consulenza finanziaria diventasse un fenomeno di moda per compensare fee che vengono a mancare da altri versanti».

Banca Ipibi, una piccola rete da 165 promotori che ha puntato con decisione sull’advice a pagamento come fulcro dell’azione di business. La scelta di Banca Ipibi è stata quella di offrire alla clientela una consulenza di base sul singolo strumento finanziario, con diagnosi del budget di rischio dell’intero portafoglio, gratuita, e una consulenza di portafoglio evoluta, su richiesta del cliente, a pagamento. Questo lavoro viene fatto su asset, titoli e risparmio gestito, presso Banca Ipibi e presso aziende di credito terze. «La banca svolge un ruolo molto preciso nella parte di monitoraggio dei portafogli, nella selezione degli asset proposti alla clientela», ha aggiunto Marangi.

 

promotori o consulenti? «Non penso si possa parlare oggi dell’affermazione di un modello Anasf in materia di consulenza», ha aggiunto Conti Nibali, in qualità di presidente dell’associazione dei promotori. «Ma certo agli osservatori è noto che l’associazione si sia molto impegnata su questo tema». Un obiettivo storico dell’associazione, quella di favorire l’attività di advice dei promotori: risale al 7 novembre 2001, infatti, la comunicazione Consob in risposta (affermativa) a un quesito inviato dall’Anasf in proposito. «Una comunicazione», ha ricordato il presidente dell’associazione, «che chiariva esattamente come il promotore, dopo aver dichiarato al cliente il proprio potenziale conflitto d’interesse, potesse prestare consulenza per conto di intermediari».

Altro tema caldo è quello della presunta rivalità tra promotori finanziari e consulenti indipendenti. «Ritengo che bisogna parlare non tanto del promotore, o del consulente finanziario oppure dell’intermediario ma porre invece attenzione al solo concetto di consulenza. Che è qualcosa di specifico e che per sua definizione è indipendente», ha sottolineato il presidente Anasf, rilevando che «c’è spazio per tutti sul mercato ma a condizione che ci siano regole ben chiare e garanzie per i risparmiatori». Il riferimento è al ritardo nel completamento della regolamentazione per il mondo dei consulenti finanziari, categoria che versa in una delicata fase di stallo e che attende da tre anni la partenza del proprio albo professionale. 

«Concordo con il presidente Anasf: la consulenza può essere esercitata da chiunque, ed è giusto che tutti gli attori possano confrontarsi su questo mercato», ha premesso nel suo intervento Cesare Armellini, presidente di Nafop, entrando poi sul problema del conflitto d’interesse che a suo parere caratterizza il mercato. E che «può manifestarsi nel momento in cui uno strumento finanziario passa da chi lo colloca a chi lo riceve: in quel momento c’è un passaggio di costi e di rischi. In questi anni, purtroppo, c’è stato un grande passaggio di titoli tossici come i bond Parmalat, o prodotti costruiti con tecniche non adatte per investitori privati come i prodotti derivati. Abbiamo notato che più rischio passava al cliente più le provvigioni erano elevate». E a questo punto emerge, secondo Armellini, il ruolo del fee only planner. «Il consulente indipendente è una controparte del sistema che offre servizi che non possono essere svolti dagli altri operatori, come per esempio trattare le condizioni con il sistema bancario».

C’è poi il tema degli investimenti in software che, secondo i competitor dei consulenti finanziari, potrebbero rivelarsi difficilmente sostenibili per il singolo. «Mi pare che si stia dando troppa importanza a questo aspetto», ribatte Armellini, «la consulenza non può essere fatta dai software, che sono solo un utile supporto». Il presidente Nafop chiude la prima parte del suo intervento sul legame tra consulenti indipendenti ed enti locali. «L’ultimo rapporto della commissione Finanze del Senato, realizzato al termine di una indagine sul mercato dei derivati, ha sancito che gli enti locali dovranno avvalersi di coloro che saranno iscritti al futuro albo dei consulenti e ciò per la loro indipendenza di giudizio. Si sta aprendo per noi un mercato ampio».

Tra le realtà professionali emergenti che vivono di sola parcella uno spazio lo stanno conquistando le sim di consulenza. Che ora hanno anche una associazione di riferimento, Ascosim. «L’associazione ha avuto un periodo di gestazione di circa un anno e rappresenta oggi 18 sim autorizzate al solo servizio di consulenza», ha esordito D’Acquarone. «Questi operatori erano già sul mercato da parecchi anni offrendo consulenza sotto varie forme; quando è entrata in vigore la Mifid hanno dovuto fare una scelta tra l’agire in un contesto normativo di certezze e definito oppure attendere lo sviluppo dell’albo dei consulenti, continuando a operare come srl e spa. Ebbene, tutte queste società hanno deciso per la strada della sim, che non è stata indolore: richiedeva sforzi economici e di investimento in risorse umane».

Le 18 sim  detengono circa 30 miliardi di masse under advisory; il 60% di queste masse sono di clienti istituzionali (fondi pensione, fondazioni, fondi di investimento), il 40% di clienti privati (in prevalenza family office) con portafogli medi di 4 milioni. «Ogni sim fa consulenza in modo diverso: c’è chi si rivolge esclusivamente alla clientela istituzionale, chi solo ai privati, chi è specializzato su modelli quantitativi, chi opera con i clienti sul risparmio gestito e chi sul risparmio amministrato. Esiste una varietà di modelli interpretativi sui quali andare a costruire i propri modelli di business. Anche noi pensiamo che lo spazio ci sia per tutti, l’importante è che tutte le sim aderenti ad Ascosim siano operatori solidi e altamente qualificati», ha sottolineato D’Acquarone, che ha così proseguito: «Un altro punto sul quale l’associazione è impegnata è quello di rappresentare un gruppo di soggetti che vogliono puntare sul tema della professionalità: è fondamentale essere trasparenti e ricondurre il cliente al centro dell’attenzione superando i conflitti d’interesse. Presto adotteremo un codice etico al quale le sim di consulenza dovranno uniformarsi per far emergere comportamenti virtuosi in termini di trasparenza e di professionalità».

 

Le organizzazioni che cambiano Il secondo tema oggetto di dibattito ha riguardato gli aspetti del cambiamento organizzativo. «Penso che quella che stiamo affrontando sia sicuramente una trasformazione di cultura aziendale», ha sottolineato  Mazzolin, «ed è un passaggio molto complicato soprattutto in organizzazioni molto complesse e articolate come il gruppo in cui lavoro. È chiaro che i comportamenti non si cambiano dall’oggi al domani, occorre tanta formazione ma soprattutto una determinazione manageriale per confermare che il mutamento è fondamentale per la value proposition dell’azienda».

Il programma citato da Mazzolin ha mosso i suoi primi passi nel 2008 interessando oltre 5.000 gestori della relazione  per una media di cinque giorni di formazione ciascuno (l’attività è stata personalizzata in funzione del ruolo svolto e differenziata per segmento di mercato - affluent, private e promotori finanziari). All’inizio del  2009, sono stati inoltre costituiti dei team di specialisti advisory per singolo mercato, 50 in tutto che operano sul territorio nazionale e, in collaborazione con le funzioni commerciali, supportano i gestori della relazione in filiale nell’utilizzo della piattaforma di advice.

Anche Mossa ha sottolineato come «il tema organizzativo sia importante anche se poco percepito. La nostra organizzazione negli ultimi tre anni è stata modellata per essere il più vicino possibile al promotore finanziario e dall’altra per fornirgli supporti all’avanguardia. È vero che gli strumenti non sono mai da soli la chiave vincente, ma senza questi saremmo meno efficienti. Riuscire a investire su strumenti sviluppati in casa, andando a pescare dall’esterno le migliori best practice sul mercato». C’è poi il grande lavoro di addestramento tecnico del promotore finanziario ai nuovi compiti consulenziali. Il percorso di formazione si è articolato, in momenti informativi, sessioni sul campo e follow up. I corsi sono stati effettuati da istituti di formazione nazionali e internazionali tra cui Sda Bocconi e Imperial College London.

C’è anche chi si è interrogato, come Motta, sulla sostenibilità economica dell’attività per il consulente finanziario persona fisica a causa delle necessarie e alte spese per adeguamenti software, audit, logistica, e via dicendo.  Per il dg di Banca Generali i consulenti finanziari hanno un livello superiore di costi a parità di guadagno con un promotore. «Il dato medio di portafoglio dei promotori finanziari è di circa 10 milioni, con le realtà superiori che hanno masse per promotore più alte. Se il costo della parcella è mediamente dell’1%, su un portafoglio medio di 10 milioni, i ricavi dell’attività sono di 100 mila euro lordi annui. Per fare il consulente finanziario occorre investire in logistica, in supporti di information technology, sull’audit e sull’advertising. E queste spese pesano sul conto economico del consulente». Motta è tornato anche sull’iter preparatorio interno per consentire alla rete di offrire il servizio di consulenza evoluta. 

Giausa ha preferito soffermarsi sul tema del conflitto d’interesse. «Finecobank è l’unica grande rete di promotori che non prevede una integrazione verticale tra la fabbrica e la distribuzione. Noi abbiamo circa l’80% in fondi di terzi, con la sgr di gruppo Pioneer investments, che è scesa dal 60% al 20%. È la dipendenza da una fabbrica di prodotto che determina il conflitto d’interesse nel collocamento. Da noi il promotore è libero di scegliere la casa d’investimento: certo, il nostro professionista riceve indicazioni di natura qualitativa fornite dalla sede centrale grazie ad analisi proprietarie, ma è libero nelle scelte. Il primo riferimento che mi viene in mente è il modello americano dei consulenti indipendenti, le cui scelte sono vicine al 90% in fondi di primo quartile proprio perché possono scegliere su tutto il mercato. L’assenza di conflitto d’interesse è la base metodologica su cui abbiamo costruito la consulenza a pagamento».

Giausa è intervenuto sull’affermazione dal presidente Nafop sul ruolo di controparte del sistema svolto dai consulenti finanziari. «Con la premessa che quanta più concorrenza c’è nel mondo della consulenza tanto più il cliente sarà salvaguardato, non trovo corretto fare una distinzione tra salvatori del risparmiatore e resto del mondo. Dal mio osservatorio, l’attaccamento agli interessi del cliente da parte dei promotori non ha uguali, spesso anche contro le indicazioni che arrivano dalla mandante. Io farei solo una distinzione generale tra persone per bene che mettono l’interesse del cliente al centro del proprio mestiere ricevendo una giusta remunerazione e chi non si pone in questa logica. Ma non si può affermare che una categoria è controparte del sistema e le altre sono colluse».

E a proposito di indipendenza nelle scelte d’investimento Marangi ha posto l’accento sul modello organizzativo. «Abbiamo istituito un comitato prodotti dove siedono in maggioranza i colleghi della rete commerciale, che così sono in grado di poter esprimere una valutazione di merito sulla scelte delle case d’investimento. Sottolineo che nel comitato prodotti i colleghi vengono eletti e non scelti sulla base dell’entità del portafoglio». Altro aspetto importante secondo Marangi è il monitoraggio. «Tutti i portafogli della clientela sono monitorati in una logica di budget di rischio. Pertanto abbiamo previsto alert quando sono raggiunte determinate soglie».

D’Acquarone ha posto sul tavolo la questione dell’offerta fuori sede del servizio di advice finanziaria che le sim di consulenza possono effettuare per il tramite di promotori finanziari secondo le indicazioni della Consob. «È un tema molto delicato. Le authority hanno chiarito che dobbiamo servirci di promotori per poter offrire i nostri servizi fuori sede e sul mercato ci sono sim di consulenza che si sono adeguate utilizzandoli. Ma questo vale per tutti gli altri attori della consulenza? Vorremmo che ci fossero le stesse regole del gioco per tutti», ha puntualizzato D’Acquarone. Armellini ha replicato affermando che le peculiarità della professione esentano dai vincoli dell’offerta fuori sede. «Ai consulenti finanziari deve essere permessa l’attività fuori sede. La nostra professione, che ha contenuti affini a quella degli  avvocati e dei commercialisti, per sua natura non può che svolgersi anche fuori sede».

Conti Nibali ha, invece, posto l’accento sul ruolo consulenziale del promotore, «diventato la figura di riferimento del tied agent europeo», ricorda il presidente dell’Anasf. «Una ricerca della Bocconi condotta dal professor Andrea Beltratti afferma che il cliente del promotore è più consapevole del rischio che assume. Attraverso questa consapevolezza scatta il meccanismo della pianificazione finanziaria e ci colleghiamo ai suoi obiettivi di investimento. Non è forse consulenza, tutta questa attività? E se lo è questa attività ha un valore che deve essere prezzato». Il presidente di Anasf, nel corso del suo intervento, si è soffermato nel corso del suo intervento sulla ipotesi della quotazione dei fondi comuni d’investimento caldeggiata in un primo tempo dalle authority ma che oggi appare tramontata. «Meno male che i fondi non sono quotati. L’Italia è un mercato consapevole della domanda o un mercato dell’offerta? Abbiamo il 99% di  risparmiatori consapevoli in Italia? A me non risulta. Se i fondi fossero stati già quotati, nella grande crisi del 2008-2009 il sistema del risparmio gestito sarebbe stato immediatamente resettato».

 

La sfida sulle parcelle  Ma è sui contenuti e soprattutto sulle tariffe dell’advice che gli attori della consulenza mettono a nudo le loro sostanziali differenze. Peculiare è, per esempio, il sistema adottato dai fee only planner. «La condizione per effettuare la consulenza è che il cliente non abbia riserve nel confidare al professionista la propria situazione, non solo dal punto di vista degli investimenti finanziari, ma patrimoniale e reddituale completa senza la quale la nostra attività diventa inefficace», premette Armellini. «Tra i nostri servizi c’è quello dell’intervento diretto nella relazione con la banca di riferimento: trattiamo le condizioni per l’acquisto di azioni e obbligazioni, strappiamo lo spread migliore possibile per mutui e finanziamenti. Tra le nostre prerogative rientra la perizia tecnica sul portafoglio: sostituiamo i prodotti insoddisfacenti per rapporto rischio e rendimento con strumenti più efficienti».

C’è, poi, il tema del pricing. «Nel primo anno, la parcella è più elevata per il lavoro di avviamento, che è complesso. In genere consigliamo ai nostri associati di adottare una tariffa flat, una cifra fissa ma non in percentuale sul patrimonio, perché si potrebbe essere tentati dal forzare i suggerimenti di investimento per incrementarlo e ottenere così una parcella più alta. E noi non vogliamo creare questo conflitto d’interesse». Parlando di cifre, Armellini ha spiegato che «la parcella richiesta per una pianificazione assicurativa può oscillare da 600 a 800 euro; mentre  la pianificazione previdenziale, che presenta criticità superiori, può costare dagli 800 ai 1.200 euro. Per aziende che richiedono consulenza non applichiamo una tariffa fissa, ma la personalizziamo sulla base delle esigenze e della complessità della richiesta. Ai clienti con un portafoglio di piccole dimensioni e con minori esigenze di manutenzione applichiamo una tariffa oraria, perché l’assistenza continuativa gli costerebbe troppo».

 

Un’altra categoria professionale che vive di parcella è quella delle sim di consulenza. «Presso le nostre associate, spiega D’Acquarone, «coesistono vari modelli di remunerazione: c’è chi chiede una advisory fee fissa o a forfait, cioè a percentuale sul patrimonio, chi applica advisory fee fisse più performance fee e sim che applicano solo performance fee. Come associazione lasciamo libere le nostre sim di determinare il sistema di remunerazione come meglio credono. Abbiamo, però, fornito alcuni suggerimenti: per esempio di chiarire, per iscritto e nel contratto di consulenza, a clienti istituzionali e privati il meccanismo di funzionamento delle performance fee. Altro suggerimento è di eliminare la duplicazione di commissioni. Non solo: visto che le sim di consulenza, come tutti gli intermediari, possono ricevere rebate,  questi  devono andare a totale favore del cliente. Inoltre, intendiamo girare una proposta al mondo bancario, chiedendo per i clienti delle sim di consulenza l’accesso ai fondi di investimento della classe istituzionale. Non capiamo perché un nostro cliente debba pagare un livello commissionale per un fondo di investimento che ingloba dentro di sé la remunerazione della rete di distribuzione».

Anche Banca Ipibi vive soprattutto di parcella. «Da sempre paghiamo un’unica aliquota marginale per quello che attiene le provvigioni di vendita, questa aliquota diventa il doppio nel caso della consulenza», afferma Marangi. «Per l’advice, l’importo è suscettibile di negoziazione con il cliente e la parcella varia dallo 0,5% fino all’1%. E c’è una netta distinzione tra i contratti di assistenza, accessori al collocamento, dove prevediamo una cifra fissa, e contratti nell’ambito della consulenza evoluta, con importi fissi fino a 2,5 milioni, e poi variabili».

Ma come si comportano le grandi reti di distribuzione nel calcolare il pricing della consulenza evoluta? Secondo Motta, le reti praticano prezzi concorrenziali. «Sono stufo di sentire che l’unico settore che fa pagare in modo smisurato i propri clienti sono le reti. Non è assolutamente vero. Tra le banche tradizionali non è raro assistere a obbligazioni collocate con costi impliciti del 4%, 5% e anche del 6%, con rating non proprio rassicuranti. Inoltre, sembra che i nuovi attori che arrivano sul mercato diano il servizio a costo zero. Non è così». Anche Mossa si sofferma sul sistema di pricing applicato, operando una premessa. «Se il cliente ci chiede più tempo per la cura dei propri investimenti è giusto che questo tempo in più venga remunerato con una percentuale delle masse del cliente che stiamo gestendo. Nel concreto, il nostro modello prevede una fee che va dallo 0,1% all’1% in funzione della complessità della consulenza da prestare nel tempo e della dimensione del patrimonio. E va in aggiunta a quello che il cliente paga investendo sui singoli prodotti».

 

modelli diversi Ma c’è chi sta andando oltre il sistema fee (da consulenza) e commission (per la vendita dei prodotti suggeriti). Adottando un modello diverso. È il caso di Finecobank. «Abbiamo deciso di alzare l’aliquota della fee di consulenza», sottolinea Giausa, «e di restituire al cliente con un accredito mensile sul conto corrente le provvigioni implicite contenute nei prodotti suggeriti nel corso dell’advice. Il promotore è così messo al riparo dal conflitto d’interessi, perché se anche vengono inseriti nella pianificazione consulenziale fondi con un costo del 2,5%  ai clienti saranno immediatamente restituite quelle commissioni. Per noi è una scelta di non ritorno, probabilmente lo sarà anche per il mercato». Entrando nel merito dei costi dell’advice, Giausa ha spiegato che «per il contratto di diagnosi del portafoglio, un check up di portafoglio che il nostro promotore può fare su investimenti che il cliente ha presso banche terze, abbiamo ideato una tariffa flat che è in funzione dalla maggiore o minore complessità del patrimonio e che non può superare i 4.000 euro per quelli grandi. Sottolineo che è una fee azzerabile dal promotore, tutto è lasciato alla sua sensibilità commerciale. Poi c’è la consulenza finanziaria vera e propria, dove abbiamo determinato tre obiettivi di investimento correlati con l’orizzonte temporale del cliente: conservazione del capitale, stabilità e rivalutazione. Come calcoliamo la parcella? Abbiamo indicato dei minimi e dei massimi per cui da una gestione monetaria che può costare 35 basis point passiamo a una gestione complessa su diversi mercati che può arrivare fino all’1,9%». 

Mazzolin, prima di entrare sul tema del pricing ha lanciato un messaggio al sistema bancario. «L’errore di questa industria negli anni scorsi è nell’aver generato commissioni solo dalla vendita dei prodotti: il resto era dato per scontato. La filosofia nuova è che ogni attività, sia collocamento, raccolta  e ricezione ordini o consulenza cioè tutti i servizi d’investimento  e i servizi accessori, debbano avere un prezzo.

Pensiamo che ci sia una filiera integrata di queste attività: è un passaggio necessario nella trasformazione in una banca che vende servizi e non prodotti».

Sul tema della remunerazione della consulenza evoluta è intervenuto, infine, Conti Nibali. "C’è sicuramente un mercato per la consulenza a pagamento. L’importante è che il risparmiatore sappia quanto paga, perché sta pagando e soprattutto se c’è un valore in ciò che ha acquistato. Non vorrei, però, che accadesse con la consulenza quello che è capitato con i mutui, e cioè che si finisse con il credere che il servizio migliore è quello che costa meno. Sarebbe un errore"

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