Partire (e non viaggiare) è un po’ morire

Partire (e non viaggiare) è un po’ morire

Viaggiare, e poi? La letteratura ha offerto, nei secoli, mille versioni diverse di questa sfinge, che è il Viaggio. Tanto da far dire - un po’ equivocamente - che Letteratura e Viaggio coincidono.
Più che la ricerca di una simbologia passe-par-tout, però, è già di grande utilità, ossia piacevole e anche istruttivo, contemplare la gran varietà di posizioni che il viaggio assume all’interno dei corpi letterari (poemi, romanzi, diari).
C’è il viaggio che staziona (anche i viaggi possono a loro volta muoversi o stare fermi) all’interno di una storia, segandola inevitabilmente in due.
C’è il viaggio che coincide con la storia stessa, e che appartiene ai miti di fondazione: da quello di Israele verso la Terra Promessa a quello di Ulisse, da quello di Dante a quello di S. Brandano, fino a Huckleberry Finn e a Bruce Chatwin.
C’è il mito, tra il romantico e il fricchettone, del viaggio fine a se stesso, del viaggio come scopo (da C.D. Friedrich a Easy rider).
C’è anche, infine, la pluralità dei viaggi, raccontata nel punto della loro intersezione: dove l’accento non cade più su una singola storia ma sulla moltiplicazione delle storie e, soprattutto, sul moltiplicatore. I crocevia, i bivii, le stazioni di posta, le osterie, i bar, le occasioni prese o lasciate introducono all'idea del viaggio come esplorazione del possibile.
In questa modalità, molto frequentata oggi soprattutto dal cinema, la Stazione Ferroviaria assume, come l’Aeroporto, la fisionomia di un totem. Qui, il destino si presenta in una particolare flessione, un po’ arcigna: il contenitore, una volta posto al centro, non libera i destini, ma tende a inghiottirli. Lascia, del viaggio, lo scheletro, privandolo del suo «dove», che del viaggio è la carne.
Un bel libretto, corredato da immagini smaglianti, è stato pubblicato da poco da Skira. S’intitola La Stazione Centrale di Milano (pagg. 120, euro 15,00) e raccoglie numerose fotografie del faraonico monumento. Le immagini, tratte dall’Archivio Storico delle Ferrovie dello Stato, documentano, ed è questa la ragion sufficiente della pubblicazione, la costruzione del grande tempio nel momento in cui esso si avvia a cambiare completamente il proprio volto, restituendocelo nelle sue linee originarie, nella sua grande bellezza, cui concorsero numerosi architetti e artisti, nella sua superbia che, cartesianamente, tende a ricondurre il viaggio a un modello matematico.
Le fasi della costruzione della Centrale ci documentano un procedimento costruttivo che è uguale e contrario a quello delle cattedrali. Uguale per la sintesi tra la grandiosità dell’opera, la sua afferenza al mistero e la cura dei particolari.

Contrario, perché, a differenza delle cattedrali - opera di una moltitudine e quindi passibili di accumuli e aggiunte - qui in ogni punto della costruzione si deve avvertire la presenza di un unico disegno, di un’unica mente programmatrice.
Dunque, niente accumuli. E anche sul viaggio si stende l’ombra del Grande Fratello.

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