Silvia Pedemonte
Per lei, la notte che ha riportato il Genoa in pAradiso è una sensazione: «ero frastornata, come se mi avessero appena svegliata da una bella dose di anestesia». Per lei, la festa in piazza De Ferrari è musica, canti, cori, magliette sudate al tatto, gocce dacqua che dalla fontana arrivano fino sulla pelle. Per lei, Azzurra, ventisette anni e qualche mese in più, non vedente («sono nata di sette mesi, cè stato un errore umano da parte dei medici e un guasto nell'incubatrice mi ha privato da subito della vista»), sabato sera è stato calcio, emozioni, sensazioni. Vita. Vita che scorre attorno a quel pallone che Azzurra non vede, ma che sente e la fa tremare di emozioni così forti da farla barcollare sulle gambe. Il Genoa si risveglia dal coma dopo dieci anni, e lei quel tuffo al cuore lo descrive così. Come un risveglio, dopo una bella dose di anestesia. Con unimmagine sola. Che dice tutto.
È venuta apposta per seguire il «suo» Grifone, Azzurra: divisa fra Torino (città dove abita il padre) e quella Milano in cui studia Informatica all«Istituto dei ciechi» sabato prende il treno («da sola, eravamo io e il mio bastone» racconta con un pizzico di orgoglio) e scende sotto la Lanterna, per assistere a quella passione che da sempre le brucia dentro. Il Genoa. «Da non vedente, amo le città per i loro profumi e i rumori, per il dialetto della gente e le sensazioni che riesce a trasmettermi. Bene, la tifoseria rossoblu mi ha conquistata proprio perché è calorosa e riesce a farmi vivere tutte le emozioni della partita. Anche se non vedo».
Così, Azzurra, ragazza dalle mille passioni («dal greco moderno al calcio inglese») e dallunico, fortissimo credo («tutti i non vedenti dovrebbero capire una cosa: che siamo normali per il 95%. Che dobbiamo uscire e vivere. Nel vero senso della parola»), prende il treno e sbarca a Brignole.
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