Il partito che caccia chi dissente

EPURAZIONI Chi difende le proprie idee viene messo all’indice. Lo hanno fatto con me e ora con la Binetti

Quando è nato, lo abbiamo chiamato Partito democratico perché unisse tutti e andasse oltre le vecchie appartenenze. Un partito con l’ambizione di rappresentare quasi la metà degli italiani e mettere insieme sensibilità diverse, dove potessero sentirsi a proprio agio laici e cattolici, ebrei e musulmani, moderati e progressisti, dove si potesse esprimere liberamente la propria opinione senza il timore di vedersi assaliti e processati. Invece in questi due anni alle nobili intenzioni dei fondatori è subentrato il mesto ritorno a pratiche di altri tempi e altri paesi.
Nel Pd di oggi difendere le proprie idee, essere coerenti significa essere messi all’indice. Non si è mai visto un partito che si dice democratico ma a neanche due anni di vita parla un giorno sì e l’altro pure di espulsioni, epurazioni, processi dei garanti. L’ho sperimentato sulla mia pelle, cacciato e insultato per aver difeso la legalità di un organo parlamentare, la commissione di Vigilanza, il cui legittimo voto è stato calpestato con procedure senza precedenti. Lo hanno sperimentato diversi altri esponenti del Pd. Da giorni l’onorevole Binetti è vittima non soltanto degli sproloqui di tanti sedicenti democratici, ma anche delle pressioni avanzate senza tanti complimenti dai membri del Pd affinché si tolga di torno. Sempre che a cacciarla non ci pensi qualche comitato di epurazione interno al partito, dopo che il segretario in carica è arrivato a definire le sue posizioni «un problema».
Eppure quando i cattolici facevano comodo nessuno ha avuto dubbi a candidarla. L’onorevole Mantini, reo di aver rilasciato qualche intervista sulla gestione del patrimonio, è stato costretto a rivolgersi verso altri lidi. Altro caso ancora, quello del deputato Gaglione. Il motivo dell’epurazione è stato trovato nelle troppe assenze in Parlamento. Eppure non si capisce come mai dell’assenteismo il partito e il gruppo se ne siano accorti solo dopo un anno, a differenza dei giornalisti che lo avevano già segnalato diverse volte.
Forse bisognerebbe discutere dell’approssimativa conduzione dei gruppi parlamentari, alla cui guida furono imposti dall’allora segretario Veltroni, Soro e Finocchiaro in nome di una non chiara logica di continuità tra legislature differenti e alla faccia dell’autonomia delle istituzioni rispetto ai partiti. In quell’occasione, insieme a pochi altri, dichiarai pubblicamente la mia contrarietà a quella modalità di elezione-nomina.
Insomma, il Pd è diventato il partito buttafuori, mentre la conta degli epurati aumenta, i voti calano e la confusione trionfa con l’on. Fioroni che dichiara, candidamente, sperando di risolvere i problemi: «Lo statuto del Pd non prevede le espulsioni».

Forse l’aggettivo «democratico», nell’intenzione di chi guida oggi il partito, fa riferimento a un’altra democrazia, quella dell’infausto «centralismo democratico», dove i dirigenti erano obbligati a sostenere idee che non condividevano. Ma non ci sarà bisogno di arrivare a tanto. Altro che vocazione maggioritaria, avanti di questo passo finiranno come i dieci piccoli indiani.
*Senatore del Gruppo misto

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