Roma - I timori di Fini: partorire un mostro con mille teste. Il suo partito non è ancora nato ma il presidente della Camera sa che i suoi uomini sono spaccati su tutto. Dalla giustizia ai temi etici, dal federalismo alle prossime strategie, dall’antiberlusconismo alle scelte economiche, la sua è una truppa che procede in ordine sparso. Loro minimizzano: «Sensibilità diverse». In realtà le posizioni si accavallano fino ad entrare in rotta di collisione. «Sì, no, forse» su molte, troppe, questioni. In prospettiva Fini qualche preoccupazione ce l’ha, anche se lui col correntismo è abituato a conviverci. Farà come ha sempre fatto in An dove il suo motto era divide et impera per poi regnare con il pugno di ferro e il terrore.
Così, per ora, va bene anche che Futuro e Libertà assomigli più a Futuro e Astrusità: un minestrone dal sapore agrodolce perché fatto con ingredienti opposti. Esempio: nel brodo finano stanno insieme (chissà per quanto) sia Bocchino sia Menia. I due si detestano tanto che la scorsa primavera, nel cortile di Montecitorio, arrivarono quasi alle mani. Ricordiamo poi che il primo, Bocchino, nei giorni del congresso fondativo del Pdl, dispensava miele nei confronti del Cavaliere: «Il nostro leader Berlusconi ha un’aspettativa di vita di 120 anni. Io me l’aspetto di 119 anni perché Berlusconi non lo si può mai eguagliare». Il secondo, nelle stesse ore, criticava: «Io non canto nel coro: non basta la leadership di Berlusconi e secondo me ci siamo fusi troppo in fretta. Era meglio una federazione». Fu l’unica voce stonata, chiaramente non condivisa da Bocchino. Altri tempi. Ma oggi? Oggi sul processo breve Fabio Granata e Carmelo Briguglio dicono che «quel documento così com’è non lo votiamo perché ci sono troppe perplessità e farebbe strage di processi». Ma il compagno di schieramento Giuseppe Consolo afferma che «la vera vergogna sono i processi senza fine. Io spesso sono in sintonia con il Guardasigilli Alfano». Mediana la posizione del moderato Silvano Moffa: «Discutiamone: se dovessero arrivare più risorse alla macchina giustizia potremmo starci. Nessun no preventivo al provvedimento». E persino Benedetto Della Vedova, garantista doc, una vita di battaglie per separazione della carriere e responsabilità dei magistrati è allergico ai falchi giustizialisti alla Granata: «Nessuno può negare che Berlusconi sia vittima di un accanimento giudiziario - disse - ed era doveroso difendere Cosentino da accuse tutt’altro che dimostrate». Lo stesso Cosentino per cui chiedevano la testa Bocchino, Granata, Briguglio e Perina.
Anche sul futuro del Fli la parola d’ordine sembra «avanti in ordine sparso». Se per il senatore Mario Baldassarri «c’è un percorso avviato per un possibile rientro dei finiani nel Pdl», e se Souad Sbai avverte che «non ho comprato un biglietto di sola andata e quando sento parlare Granata come la Bindi mi allarmo: Granata non mi rappresenta», per altri un nuovo partito sarà inevitabile. «Conseguenza naturale dopo la formazione dei nuovi gruppi», medita un falco. «Vedo all’orizzonte la nascita di un nuovo partito - disse papale papale Bocchino una settimana fa - perché non credo si possa ricucire lo strappo tra Fini e Berlusconi». Ipotesi subito stroncata dalle colombe Moffa e Viespoli: «Meglio abbassare i toni».
Finiani disorientati anche sui temi etici visto che, tra loro, militano ferventi cattolici come Briguglio che, nei giorni del caso Eluana, evocò persino la procura: «Intervengano i magistrati: la decisione dei medici di sospendere subito alimentazione e idratazione sembra voler procurare la morte a una persona che è viva». Più o meno sulle stesse posizioni i cattolicissimi Antonio Buonfiglio, Andrea Ronchi, Silvano Moffa, Giuseppe Valditara, Carmine Patarino e Aldo Di Biagio. Accanto a questi siedono gli iperlaici come Benedetto Della Vedova, Flavia Perina e Luca Barbareschi secondo cui devono essere i familiari a decidere sulla sorte del malato. Già, Barbareschi: uno che scatenò il putiferio dichiarando di essere «favorevole ai matrimoni e alle adozioni gay», considerando «retrograda l’Italia che non apre a queste soluzioni». Mentre Mirko Tremaglia considera gli omosessuali «culattoni». Il finianissimo Saia, poi, per sbeffeggiare la Bindi nel 2006 le diede della «lesbica e quindi non idonea a fare il ministro della Famiglia». Fini andò su tutte le furie: «Frase sciagurata, l’ha fatta grossa». E il senatore: «Chiedo scusa, sono mortificato. Ero addirittura contro Fini quando non voleva insegnanti omosessuali nelle scuole».
E che dire del federalismo e del Sud? La pattuglia dei meridionali è ben nutrita visto che annovera, solo tra i siculi, Granata, Urso, Scalia, Briguglio, Lo Presti, Bongiorno: tutti ansiosi di dar fastidio alla Lega. Ma che ne dicono il vicentino Giorgio Conte, il triestino Roberto Menia, il padovano Maurizio Saia, il rodigino Luca Bellotti?
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