Politica

«Un partito di personaggi ambigui»

«Di Pietro? Prima di andarmene dall’Idv l’avevo messo in guardia: guarda che in questo partito c’è gente poco pulita, personaggi che sarebbe bene tenere a debita distanza. Crede che abbia fatto qualcosa per allontanare certi loschi figuri?». La risposta di Giovanni Aliquò è stata di tornare al suo lavoro di vicequestore della Polizia di Stato e di sindacalista (è dirigente dell’Associazione nazionale funzionari di polizia), dopo essere stato catapultato da Tonino come capolista dell’Idv in Campania, per la Camera, nel 2001. Poliziotto Aliquò come poliziotto è Cristiano Di Pietro, che però i colleghi di Vasto (dove fu trasferito improvvisamente, proprio lì vicino a casa sua) ricordano ben poco, perché - raccontano - quasi sempre assente tra permessi per consigli comunali, provinciali, per comunità montana, assenze per «assistenza a malati e invalidi» e infine per l’aspettativa ottenuta senza troppi problemi. «Una cosa solitamente non facile da ottenere - spiega Aliquò -. Però io Cristiano non l’ho mai conosciuto di persona. So che all’epoca sentiva spesso il padre per questioni politiche, ma non ci conosciamo».
Di Pietro senior invece sì.
«Fu lui a chiamarmi per candidarmi in Campania. Come segretario nazionale del sindacato di Polizia ebbi mandato di cercare un partito che ci offrisse la possibilità di essere rappresentati in Parlamento. Mandammo delle lettere».
E le rispose Di Pietro.
«Sì, mi offrì quel posto da capolista, un mese prima del voto. Mi ritrovai a dover organizzare una campagna elettorale all’ultimo. Ma da subito ebbi dei dubbi».
Su cosa?
«Sulla gente che vedevo nel partito, in Campania. Personaggi che non mi piacevano affatto e che però stavano in posizioni di rilievo. Gente che sapevo avere frequentazioni poco raccomandabili».
Parla di rapporti con la criminalità organizzata?
«Mah.. Questo non voglio dirlo... Diciamo: amicizie che non consiglierei a nessuno, personaggi molto ambigui. Io preferisco la nettezza».
Lo disse a Tonino?
«Certo, lo avvisai ma lui fece di testa sua, come fa sempre con tutti. È abituato a decidere in modo autocratico nel partito».
Quando lasciò l’Idv?
«Subito dopo le elezioni, ci fu un’assemblea dove spiegai quel che pensavo. Di Pietro mi trattò in modo molto spiccio».
Lo sente ancora?
«L’ho incontrato recentemente a Roma, ma non ci sentiamo. Sento invece gli amici dell’Idv in Campania, e mi dicono che sono scontenti di come viene gestito il partito».
Perché secondo lei Di Pietro si circonderebbe di personaggi “ambigui”?
«Penso sia una persona molto scaltra ma non abbastanza da capire che certe persone è meglio perderle che guadagnarle. Forse crede che scegliendo persone più “disinvolte” può ottenere prima quello che invece si crea col tempo, cioè il credito presso i cittadini».
Ha letto del figlio di Di Pietro?
«Sì, ma la disavventura di avere un figlio che commette una stupidaggine può capitare a tutti. Il problema è il metodo che utilizzi per gestire il potere nel partito, e il metodo di Di Pietro non è democratico, manca qualsiasi forma di democrazia interna nell’Idv. È un’autocrazia e nemmeno tanto illuminata».
Lei si candidò con l’Idv come partito della legalità. E ora?
«Ora Di Pietro sta pagando il conto di certe scelte infelici sulle persone. Peccato perché nel partito c’è molta brava gente che crede davvero a quell’ideale. Di Pietro si presenta con un’etichetta ma poi è qualcos’altro. Anche io pensavo rispecchiasse quei valori, per me è stata una delusione».
Quanti voti prese poi?
«Tanti, 61mila, ma non bastò. Pagai le spese per la campagna elettorale di tasca mia, circa 6 milioni di lire. Ho documentato tutto alla Corte d’appello ma non ho mai ricevuto un centesimo di rimborso elettorale».


Se li è tenuti il partito?
«Sì, come ha fatto con molti altri che sono usciti amareggiati dall’Idv».

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