Politica

«Partito unico dei moderati, non dei cattolici»

«Un soggetto per riunire i cristiani in politica? È solo nella testa dei nostalgici di partiti defunti. Ma forse un’affermazione del Sì avrebbe potuto rilanciarlo

Mario Sechi

da Roma

Presidente Marcello Pera, lei nel referendum sulla procreazione ha sostenuto l’astensione. Gli italiani hanno disertato le urne, quale insegnamento arriva da questo non voto che però è una netta scelta di campo?
«Il significato che io avevo dato a questa mia dichiarazione di astensione era quella di una moratoria morale di fronte ai problemi posti dalle legge 40 e un omaggio alla democrazia parlamentare. Moratoria morale perché la legge tratta di temi molto complicati, ma soprattutto in evoluzione per il fatto che gli sviluppi tecnologici sono rapidi e rappresentano altrettante sfide per la coscienza di ciascuno. Perciò, mi ero detto, conserviamo il risultato di compromesso uscito dal Parlamento, facciamolo entrare in vigore e diamoci un tempo congruo per fare le verifiche. Questo è anche omaggio alla democrazia parlamentare dal momento che bisognava tenere in considerazione diverse esigenze e diversi diritti, compreso quello dell’embrione».
Si è detto che questa sia stata una vittoria del Cardinale Camillo Ruini. È vero?
«No, io non ritengo che sia una vittoria del Cardinale Ruini e credo che non le pensi neanche lui. Non ritengo nemmeno che sia una vittoria della Chiesa e, con tutto il rispetto, nemmeno del Sommo Pontefice. A me pare invece una vittoria di quei cittadini, che sempre più intrisi di sentimenti religiosi e interessi spirituali - di cui vedo una rinascita - di fronte a questi problemi hanno pensato che si fosse raggiunto il limite compatibile e attualmente possibile. Esiste una religiosità diffusa in Italia e in altre parti dell’Occidente, di cui a lungo non si è tenuto conto, che è merito del Cardinal Ruini e della Chiesa aver interpretato, ma che va oltre l’obbedienza stretta dei fedeli. Questi sono i cittadini che hanno vinto.
Dunque è un fatto culturale?
«Secondo me sì. C’è in Italia una preoccupazione spirituale e religiosa di gran lunga superiore a quella che c’è in gran parte dell’Europa. Questi cittadini sono stati svegliati a questa rinascita da Papa Giovanni Paolo II, da Papa Ratzinger, dal Cardinale Ruini e da alcuni altri cardinali e vescovi. Interessante è che questo risveglio religioso coinvolge non soltanto i credenti in senso stretto, ma anche una buona parte del mondo laico. Altrimenti non ci potremmo spiegare un’astensione così alta. Intestare la vittoria a questo o a quel soggetto, al Cardinale Ruini, o al presidente del Senato o al Presidente della Camera sarebbe un errore. In quest’astensione vedo inoltre una preoccupazione nei confronti della scienza che è stata “predicata” in modo spesso superficiale o addirittura in modo arrogante. Talvolta non da veri scienziati, i quali conoscono meglio di altri i limiti della scienza, ma da praticanti la scienza - ginecologi, oncologi, predicatori di varia natura - che in nome di presunti illuminati e sempre benefici diritti della scienza hanno impaurito l’opinione pubblica».
Si può parlare di un ritorno della politica dei valori?
«In senso stretto non c’è una politica dei valori. C’è e ci deve essere una politica ispirata a valori o, meglio ancora, a principi, per usare un’espressione laica anziché una etica. Quando si parla di valori non dobbiamo dimenticarci che in questa landa europea dell’Occidente, i valori che ci ispirano vengono da una lunghissima tradizione. Alcuni sono scesi dal monte Sinai, altri sono ascesi al monte Golgota. Questi valori sono l’atto battesimale dell’Occidente e dell’Europa. Non c’è bisogno di una politica di questi valori, ma di una politica attenta a questi valori e soprattutto che non sia negatrice di essi».
C’è chi sostiene che in fondo il presidente Bush ha vinto le elezioni su questo terreno: matrimoni gay, aborto, limiti alla ricerca. Siamo di fronte a un modello da imitare?
«No, io penso che sia un modello su cui riflettere. L’America si è risvegliata per prima e così,prima di altri paesi occidentali, ha rivendicato una sua identità. L’esempio americano dimostra che in questione non è “la Chiesa”, ma una religiosità diffusa che va al di là delle singole chiese. Per questo la politica, se non vuole essere miope, o addirittura prevaricatrice, non può più prescindere dalla consapevolezza che questi sono valori diffusi».
Tre eventi in successione: l’elezione di Papa Benedetto XVI, il No di Francia e Olanda alla Costituzione Ue e la vittoria dell’astensione al referendum sulla procreazione in Italia. C’è un filo comune?
«C’è come dicevo prima, un risveglio spirituale che assume varie forme: in particolare in America e ora anche in Italia, assai più che in Spagna e in Francia vi è un’inversione rispetto alla cultura della resa, o del compromesso o dell’appeasement nei confronti della modernità ipersecolarizzata, che aveva colpito anche una parte della Chiesa cattolica. In altri termini si è dimostrato che il relativismo è molto chic, ma non paga».
Che fine farà la Costituzione europea?
«Attualmente mi sembra che sia stata crioconservata, come se fosse soprannumeraria. Ho l’impressione che quella Costituzione sia stata troppo frettolosa e troppo ambiziosa. Troppo frettolosa, perché si sono messi rapidamente insieme Paesi che non hanno gli stessi standard economici e che presentano divisioni su temi importanti come, per esempio, la politica estera, la politica militare, le relazioni euroatlantiche. Troppo ambiziosa, perché non si può far calare dall’alto - in modo costruttivistico - un’architettura giuridica di cui i cittadini non erano consapevoli».
Quasi tutti i giornali erano per il Sì al referendum. Così pure gli intellettuali. Il popolo invece è rimasto a casa. Come si è potuta provocare una frattura così ampia e una così grande incapacità di capire il sentimento degli italiani?
«Temo che gli intellettuali - comprendendo in questa espressione anche gli opinionisti e non solo gli insegnanti universitari - abbiano una tendenza sempre più spiccata a scrivere articoli e libri leggendo solo i propri articoli e i propri libri. Penso che dovrebbero riflettere di più, non stando appollaiati sulle spalle di altri pensatori - anche se fossero classici - ma spalancando le finestre, o camminando sui marciapiedi. È là che si sentono e si vedono i problemi reali. Questa pigrizia intellettuale ha fatto sì che essi si siano rinchiusi in case popolate di specchi che li hanno moltiplicati, facendo loro credere di essere una massa sterminata. L’astensione al referendum è stata anche la sconfitta di questa cultura del recinto, della mancanza di umiltà, e di riflessione sul mondo che sta cambiando. Soprattutto credo che non sia stata compresa, talvolta addirittura ignorata e molto spesso derisa, questa rinascita religiosa e spirituale dell’Occidente».
A proposito di snobismo intellettuale. C’è chi ha detto che il Mezzogiorno non è andato alle urne perché meno istruito e in fondo, nel Sud, è la Chiesa che comanda...
«Mi sembra che si vada di male in peggio. Si passa dalla ragion pigra alla ragion astiosa. Considero questo giudizio una forma di razzismo intellettuale anti-italiano».
Si è discusso anche sulla rinascita dell’unità politica dei cattolici. È possibile un progetto neocentrista?
«Chi lo avesse in mente - e mi pare che sia nella testa soltanto di qualche nostalgico di partiti defunti - sbaglierebbe l’interpretazione del risultato referendario. A vincere quel referendum sono stati sia laici che credenti. E per paradosso, devo dire, che sarebbe stata semmai la vittoria del Sì, a indurre alla costituzione di un partito cattolico, per una reazione di autotutela o di autodifesa. La grande novità del voto del 13 giugno è di aver mostrato che quella tra laici e cattolici è una vecchia distinzione non più adeguata alla realtà. Un partito che voglia farsi orecchio attento dei sentimenti della gente, è un partito che ha dentro di sé tanto laici quanto cattolici».
Quale dovrebbe essere il programma di un partito unitario del centrodestra?
«Un partito che facesse proprie le cose sin qui dette, sarebbe già a metà dell’opera. Perché avrebbe già definito una cornice di carattere culturale. Invece un partito unitario che pensasse di basarsi su principi esclusivamente cattolici, escludendo i laici o viceversa, non sarebbe un partito adeguato al risultato del referendum».
Lei si sente un crociato?
«No. E per la verità, nemmeno un crociano. Croce fu il celebre inventore della formula, che io trovo molto pigra, del “perché non possiamo non dirci cristiani”. Non mi sento né sono neanche un convertito, mi sento però uno che ha attenzione verso la realtà che cambia e sono tra coloro che riconoscono che la propria identità ha origini dal Sinai e dal Golgota».
Lei è uno degli ispiratori della Fondazione Magna Carta, che in pochi anni è diventato uno dei pensatoi più influenti del centrodestra. In America i think tank hanno un peso decisivo nella politica, sarà così anche in Italia?
«Di Magna Carta sono onorato di essere il presidente onorario. È una novità importante. È un luogo di elaborazione culturale che insiste anche sul superamento della divisioni tra laici e cattolici. Gli aderenti di Magna Carta già un anno fa in un convegno hanno chiesto il superamento delle barriere: mettendosi in discussione come laici liberali ma chiedendo ai credenti e alla Chiesa di interrogarsi su un risveglio religioso che va oltre le aspettative della Chiesa medesima».
Avete un appuntamento a Norcia?
«Sono stato invitato a Norcia. Norcia, dopo l’elezione di Benedetto XVI, è un luogo emblematico. Sia per quanto riguarda le implicazioni sulla cultura e la politica europea sia perché Norcia richiama Benedetto e dunque evoca l’evangelizzazione dell’Europa».
Il presidente Casini ha confessato pubblicamente: «La prima persona con cui ha parlato di astensione è stato Pera». Esiste l’asse Pera-Casini?
«Ho letto due volte l’intervista del presidente Casini. E mi sono irritato perché non ho trovato nemmeno una virgola da correggere. La penso esattamente come lui, anche sulla circostanza che abbiamo entrambi un cattivo carattere. Finalmente abbiamo scoperto il problema. E abbiamo così constato una convergenza su questioni di sostanza.

Vediamo, dopo gli embrioni, come ce la caviamo con gli adulti».

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