Pascoli, trovati cento versi inediti del poeta scritti al posto della sorella Mariù

La poesia scoperta le carte dell'Archivio di Stato di Massa. Dedicata a Caterina Boari, la maestra delle sorelle del poeta, risale al 1886. È un «compito» assegnato a Mariù che però lo fece fare al fratello Giovanni...

Anche i poeti più grandi si «lasciano dietro» qualcosa. perduto, e poi ritrovato. «O Sogliano, il pensiero a te rivola,/ dove fiorì la nostra fanciulezza/ come una grasta di viole al canto/ d'una finestra in un chiassuolo ignoto./ E rivedo il collegio dei solinghi/ claustri, dei corridoi silenziosi,/ tutto pur, nella pace alta, squillante/ di trilli al bosco e congetii sui tetti./ E di che frascheggiar lieto di bimbe/ sonava a giorni; sopra tutti in questo!/». Sono i versi inediti dell'incipit di una poesia di Giovanni Pascoli (1855-1912) ritrovata tra le carte dell'Archivio di Stato di Massa.
Autrice della scoperta è Antonia Cerboncini, una maestra elementare massese, responsabile del Comitato Pascoliano Massese e socia dell'Accademia Pascoliana di San Mauro. La poesia, come rivela un articolo pubblicato oggi, 12 dicembre, dal «Quotidiano Nazionale», fu scritta da Giovanni ma il poeta volle che fosse attribuita alla sorella Maria, da lui affettuosamente chiamata Mariù. La lirica fu dedicata a Caterina Boari, la maestra delle sorelle del poeta all'istituto delle suore agostiniane di Sogliano (Forlì). La poesia di ben cento versi è intitolata «XXVIII agosto», giorno in cui Caterina Boari prese il velo di suora agostiana.
Antonia Cerboncini ha ritrovato il testo ignoto in un pieghevole stampato presso la Tipografia massese di Vincenzo Menzione recante la data dell'agosto 1886. Vi figura la scritta: «Alla maestra, la quale nel collegio dove già vivemmo di lei gioconde scolare prende l'abito delle Agostiniane, rifugiandosi in asilo di vera pace e Tempio di vera sapienza, offriamo noi Ida e Maria Pascoli». Secondo Cerboncini, appare evidente dalla lettura «lo stile inconfondibile del poeta, in particolare quello stile "impressionistico" del Pascoli massese, quando sperimentava, sul suo personalissimo "pentagramma", quella tessitura timbrica che è imperniata sugli accenti di tutte le parole e in quella modulazione che rallenta il discorso determinando uno spazio di risonanza, una sospensione che ne prolunga il suono e il messaggio in un alone di memoria e nostalgia».
Ma quali riscontri oggettivi sono stati trovati per affermare con certezza che si tratta di un'opera di Pascoli? La risposta, spiega Antonia Cerboncini, si trova nel libro «Lungo la vita di Giovanni Pascoli» che raccoglie le memorie della sorella Mariù. A pagina 255 si legge: «Voglio rendere a Giovannino una poesia fatta ora da lui e da lui attribuita a me. Si faceva monaca nel nostro convento la giovane maestra che ci aveva insegnato. Volevamo offrirle qualche verso e ci raccomandammo a Giovannino che ci facesse qualcosa. Ma egli disse che prima provassi io, che cominciassi almeno. Ma io non fui capace di buttar giù nulla. Allora egli s'impietosì, mi domandò notizie degli usi, dei costumi, delle cerimonie e di altro del convento e prese la penna, scrisse la poesia sottoscrivendola M.P. e la fece stampare a Massa nella Tipografia V. Menzione».
La scoperta fatta da Cerboncini è stata già segnalata sia all'Accademia Pascoliana di San Mauro che al Conservatorio dei Beni Pascolaniani di Castelvecchio.

Durante la ricerca nell'Archivio di Stato di Massa sono tornate alla luce anche due poesie inedite di Mariù Pascoli: una dedicata al fratello e l'altra a Massa, la città nella quale il poeta visse e insegnò dal 1884 al 1887.

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