Saranno anche raddoppiati in tre anni i vegetariani in Italia, da tre a sei milioni tra il 2002 e il 2005, dati più aggiornati non ve ne sono, ma ancora ne deve fare di strada la ristorazione «né carne né pesce» per farsi apprezzare a livello di autentico piacere goloso. Lesempio che tutti fanno è quello di Pietro Leemann, ticinese quasi cinquantenne da tempo trapiantato a Milano, città che vede il suo Joia in via Panfilo Castaldi in pole position a livello di locali al top. Ma guarda, soppesa e pensa, la sua stella Michelin è un astro che splende senza però illuminare a giorno il mondo vegetal-vegano, quasi che il suo messaggio non venga capito fino in fondo proprio perché non disdegna il lato acquolinoso.
A ogni ricorrenza santa, legata a un piatto rituale che prevede il sacrificio di un animale, il movimento vegetariano pone laccento sulla strage di tacchini e anguille, agnelli e capretti. Però alla denuncia etica e morale, non segue lungo lanno una concreta azione a livello di ricette. «I vegetariani cucinano a casa loro o di amici - ricorda Leemann -. E quando va in un posto pubblico si arrangia pescando nel menù quanto di più vicino alla sua posizione. Senza contare che per diversi miei colleghi, un cliente vegetariano è un disturbo perché ha la nomea di mangiare poco e senza tanta passione».
Un vegetariano non dà soddisfazione a chi cucina e il suo estremo vegano ancora meno poiché è tale chi rifiuta qualsiasi ingrediente di derivazione animale, a iniziare dai formaggi per via del caglio animale, cosa che fa il paio con il pane se non è garantita lassenza di strutto di maiale, senza scordarci la gelatina se di colla di pesce. Banditi però anche latte e burro che non prevedono luccisione della bestia. In verità i tanti paletti fissati tra antipasti e primi, secondi e dolci, dovrebbero stimolare un cuoco. Far felice il loro palato, crudisti compresi, suona impossibile come per un latin lover far raggiungere lorgasmo a una donna frigida.
Sempre che ai vegetariani, riuniti nellAvi, www.vegetariani.it, interessi per davvero. In fondo sembra che le insegne a prova di carne e pesce siano 300 in tutto lo stivale, ma il sito del gruppo ne celebra 13 appena, lasciando perdere le catene dellIkea e Ciao che avranno anche risposto affermativamente allappello dellAvi ma dove certo filetti e braciole non sono assenti.
E così si torma al punto di partenza, alla solitudine di Leemann: «Io vorrei tanto essere di esempio per altri chef. I vegetariani vengono visti come figli di un dio minore perché, operate scelte ben precise che riguardano la sua coscienza, non fanno quel salto di qualità goloso. Ad esempio, io non potrei mai lavorare in un locale dove si cucina la carne. La mia sfera privata è parte integrante del mio essere cuoco. Non ho due morali. Noi ristoratori dobbiamo pensare anche alla salute dei clienti e io sono convinto di avere imboccato la strada giusta».
E ora che siamo giunti alla Pasqua, cosa mangia un vegetariano? Capretto e agnello certo che no, cosa allora? Leemann non ha dubbi: «Formaggi e verdure. Se lautunno è il mese di chi ama la carne per via della selvaggina, noi aspettiamo con trepidazione la primavera per tutto il verde fresco fresco. Ci sono gli asparagi, che adoro, a Milano arrivano mozzarelle di bufale sempre più buone e nei boschi e nei prati germogli e primizie, tarassaco e asparagi selvatici, primule e aglio orsino, il crescione. È il nostro momento».
E il pane e il vino, ben presenti nella liturgia cristiana, sostituiscono qualsiasi piatto carnivoro come rituale legato alla resurrezione di Cristo «e senza rimpianti perché, ormai, le feste si rivelano spesso dei pretesti per abbuffarsi che poco hanno da spartire con il Vangelo». Pietro stesso ha pensato a un piatto pasquale che è poi un inno alla primavera ormai alle porte. Tra poco sarà anche in carta. La semplicità ritrovata, così è stata battezzato, richiama gli Asparagi alla Bismarck con un finto uovo però, dove il bianco è dato dal latte di mandorle e il rosso dalle carote cotte al vapore, poi frullate con olio doliva e zafferano in polvere, accorgimento che evoca netto il sapore del tuorlo.
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