Passaporti, la beffa continua

Gianluigi Nuzzi

Lo spettacolo è impietoso. Si replica ormai tutti i giorni all’ufficio passaporti nel palazzo delle Poste dietro piazza Cordusio. Due file chilometriche si snodano per l’intera mattinata. Centinaia di persone attendono per ore il proprio turno. Guardare per credere. Devono rinnovare il passaporto per andare negli Usa ma, a seguito di una scelta unilaterale americana, sul documento ora deve essere apposta una foto digitale. Da qui lo stallo italico. Per sovrapporre la fotografia è infatti necessario uno speciale scanner consegnato in limitatissimi esemplari a dicembre dal Viminale solo alle questure di Milano, Roma e Napoli. Come se l’Italia che viaggia fosse solo queste tre metropoli. Degli altri chissenefrega. Se abiti a Verona e devi andare a Los Angeles, passa prima in piazza Cordusio. Da Catanzaro risali sino a Napoli. Due passi. File, urla, rabbia. Tempo d’attesa medio: 4 ore in piedi, al freddo, per strada. Dalla questura devono impiegare ogni giorno una dozzina di agenti a tenere ordine, calmare gli animi.
Tutto ciò si poteva evitare. La rabbia della gente e l’impotenza degli impiegati che fanno i salti mortali. Da due anni infatti gli Usa ci avvertivano dell’imminente cambio delle modalità d’ingresso. Ma la pratica ha dormito impolverata negli uffici del prefetto Alessandro Pansa. Lì girano le colpe al Poligrafico dello Stato. Sarebbe un bel segno se Gianni De Gennaro avviasse un’indagine interna per capire se e chi ha sottovalutato. Comunicando poi al pubblico l’esito.

A dicembre erano arrivati 11 scanner, distribuiti tra Monza, Cinisello e appunto piazza Cordusio. Oggi, tre mesi dopo, qualcuno inizia a pensarci. Con la velocità di un pachiderma. Dicono che bisogna mettere in rete gli scanner. E ci vogliono mesi?

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