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Il passato non sepolto

Oggi le battaglie politiche si fanno su fatti accaduti ieri o pochi giorni prima. Tutti giocano sul presente. Un tempo, invece, le grandi battaglie si fondavano sul passato, essendo la storia un grande arsenale per fornire armi. Ora io parlerò dell’Iri (Istituto per la ricostruzione industriale) la cui storia è ormai dimenticata.
Quando il magistrato milanese Gerardo D’Ambrosio decise di presentarsi alle elezioni nelle liste dei Democratici di sinistra, il governo ribadì l’accusa che troppi magistrati avevano il cuore e la mente a sinistra. Queste critiche furono giudicate «rozze» da Emanuele Macaluso su Il Riformista: ovviamente questa accusa fu fatta propria da tutta la sinistra. Vorrei ora ribadire l’accusa dei moderati basandomi esclusivamente sui fatti. Nell’occasione la sinistra (l’onorevole Massimo D’Alema) esaltò i giudici di Mani pulite, cioè Francesco Saverio Borrelli, Gerardo D’Ambrosio e Antonio Di Pietro. Contro di loro intenterò un ben preciso atto d’accusa, avendo come giuria i lettori. Se la sinistra condivide la prassi ed il principio di Mani pulite, c’è d’aver paura per il futuro nel caso in cui la destra non vinca le elezioni.
Il caso è semplice e si svolge nel maggio del 1993, quando due altissimi dirigenti dell’Iri e dell’Eni vennero arrestati e messi in prigione: Franco Nobili, incensurato, venne interrogato dopo un mese e due giorni dall’arresto ordinato da Di Pietro: il verbale consta di due sole paginette. Dopo una detenzione in prigione di più di quattro mesi (aspettò trentasette giorni per avere un breve interrogatorio), Gabriele Cagliari venne trovato morto soffocato da un sacchetto di plastica in un cesso alla turca.
Due spiegazioni per questi incredibili fatti, benedetti da Repubblica. Si voleva togliere la capacità di resistenza all’indagato, con la stagione canicolare e le condizioni infami del carcere. Cagliari venne talmente indebolito da suicidarsi per colpa di un giudice andato in vacanza: c’è chi lo reputò un assassinio. La seconda spiegazione è enunciata dallo stesso Borrelli: ci sarebbe una «corruzione ambientale e in questo specifico contesto d’investigazione forse le conseguenze possono essere tratte ancor prima di attendere la verifica dibattimentale». Insomma si riesumava il principio stalinista e nazista di «colpa obiettiva» già condannato da Hannah Arendt, tanto citato da una sinistra che non ha letto il suo libro sul totalitarismo.
Nel 1993 venne arrestato anche Clelio Darida, già ministro delle Partecipazioni statali: in seguito riconosciuto innocente fu risarcito con 100 milioni. Franco Nobili venne condannato in primo grado in un frettoloso processo, ma poi assolto in appello per non avere commesso il fatto.
È necessario ricordare un altro caso: quello di Romano Prodi. Come racconta il magistrato Filippo Mancuso, dove era andato a chiedere un consiglio, Prodi era un uomo disperato, distrutto, quasi piangente, in seguito ad un interrogatorio di un Di Pietro urlante in modo da farsi sentire dai giornalisti. Infine, per ubbidire ad alcune voci, trovò la protezione del Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro. La cosa divertente è che il nostro Prodi, che un prode certo non è, gli ha offerto per le prossime elezioni un posto sicuro, nella quota a lui riservata, nell’Ulivo. Una totale mancanza di dignità, dove la paura di ieri si mescola alla viltà di oggi.
Prodi divenne presidente dell’Iri per la volontà di Ciriaco De Mita, segretario della Democrazia cristiana: nella sua storia all’Iri trovò appoggio nella sinistra democristiana, che odiava Craxi, e nei comunisti. Ma non bisogna dimenticare l’appoggio di Repubblica, del Corriere della Sera e dell’Unità che ieri come oggi imponevano la dittatura del pensare corretto.
Mirando alla Presidenza del Consiglio sin dal 9 aprile 1994 parlava angosciato della sopravvivenza della democrazia in Italia. Furbo e scaltro vende fumo e bugie, non ama le istituzioni e preferisce la segretezza, ma ha dimostrato un grande tempismo per salvare la propria immagine.
Si salvò dal caso Sme, definito un «pasticciaccio brutto» da Bruno Visentini, repubblicano e ministro delle Finanze: di processo in processo si vide la contrapposizione fra Carlo De Benedetti (sempre beneficiato da Prodi) e prima Bettino Craxi, poi Silvio Berlusconi.

E si salvò pure nel caso Telekom-Serbia, nel quale l’Iri comprò dalla Serbia una partecipazione con 345 milioni di euro, per poi rivenderla alla Serbia per 195 milioni di euro. Una commissione parlamentare non riuscì ad approfondire il caso per i «non so», «non ricordo» di Prodi, di Lamberto Dini e Piero Fassino. Questo passato ci illumina il presente.

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