Rimane, non si sa ancora per quanto, delegato nazionale di Confindustria per la Legalità nonché presidente degli industriali siciliani. Ma almeno per il momento molla l'incarico nell'agenzia per i beni confiscati, che lo avrebbe portato a fianco di prefetti e magistrati non più da paladino della legalità ma nella scomoda veste di indagato e per collusioni con i boss.
Antonello Montante fa un passo indietro. E si autosospende dall'agenzia che si occupa dei beni scippati ai boss che aveva avuto da pochissimo, dallo scorso 20 gennaio. L'imprenditore, paladino della legalità fino a pochi giorni fa, quando «Repubblica» ha svelato l'esistenza di due inchieste per sue presunte collusioni mafiose, ha diramato una nota: «È per il profondo rispetto verso tutte le istituzioni, a partire da magistratura e forze dell'ordine, che oggi, alla luce delle notizie che ho appreso dalla stampa, seppure sconsigliato da tanti, ho deciso di autosospendermi dal consiglio direttivo dell'Agenzia nazionale per i beni confiscati. Mai avrei pensato - scrive - di dovermi trovare un giorno in una situazione simile dopo anni trascorsi in trincea, insieme a tanti altri imprenditori, sempre al fianco delle istituzioni. Anni durante i quali un gruppo di giovani imprenditori siciliani ha preso coraggio e ha espulso dalla propria associazione persone che avevano rivestito ruoli apicali negli organi associativi regionali e che, come hanno sottolineato alti magistrati in occasioni pubbliche, grazie al metodo mafioso e a protezioni politiche, avevano creato un sistema di potere di portata regionale se non nazionale. Anni durante i quali abbiamo accompagnato decine di colleghi alla denuncia, sostenendoli anche nelle aule di tribunale, anni in cui abbiamo sollecitato controlli antimafia preventivi, in alcuni casi mai fatti prima, e ci siamo costituiti parte civile, insieme con tutte le associazioni aderenti a Confindustria, in processi contro esponenti di spicco della criminalità organizzata. Un cambio di passo rivoluzionario - prosegue Montante - portato avanti con l'obiettivo di tracciare una linea netta di demarcazione con il passato in un territorio da sempre soggetto a forti condizionamenti mafiosi, prima del quale all'interno dell'Associazione accanto alla gente perbene era possibile trovare anche l'imprenditore colluso o addirittura associato a Cosa nostra».
Il presidente di Confindustria Sicilia entra anche nel merito delle inchieste che lo riguardano: «Le persone che vedo citate negli articoli giornalistici pubblicati in questi giorni sono state da noi tutte denunciate e messe alla porta, - dice - così come è possibile leggere in documenti pubblici consegnati in commissione Antimafia, in occasione dei Comitati per l'ordine e la sicurezza pubblica e, comunque, a tutti gli organi antimafia del Paese. Lo abbiamo fatto subendo minacce gravissime e mettendo a rischio la nostra vita e lo abbiamo fatto - conclude - sempre al fianco d'investigatori, magistrati e funzionari dello Stato».
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