La pasta migliore è «risottata»

Paolo Marchi

A voler provocare, all’apparenza è inutile celebrare in Italia il World Pasta Day, la giornata mondiale della pasta, il 25 ottobre. Uno pensa a spaghetti, maccheroni e lasagne e si chiede perché Roma e non Londra o Parigi dove, per dirne una sola, i più nemmeno sanno cosa noi italiani intendiamo per «cottura al dente». Solo all’apparenza però. Questo un po’ perché è deleterio dare una supremazia per acquisita in eterno e un po’ perché non è affatto vero che la pasta è sempre ottima e ben fatta lungo tutta la penisola. Possono variare i tipi di grano duro usati in produzione, le trafile per darle forma e i tempi di essiccazione e quelli di cottura così come le materie prime con cui sono fatti i sughi.
Non basta: la pasta andrebbe cotta come si fa con il riso per risotto, direttamente nel sugo, ma questa verità ha i contorni di un Everest, un ostacolo così alto che mette la sordina alla pasta “risottata”, peraltro cavallo di battaglia, a livello di Bavette con le vongole, di Lorenzo a Forte dei Marmi in Versilia e, come Spaghetti psichedelici (è un variopinto sugo di mare), di Moreno Cedroni alla Madonnina del Pescatore a Senigallia nelle Marche. Una volta Nadia Santini, ai fornelli del Pescatore a Canneto sull’Oglio nel Mantovano, chiese a Guido Barilla perché la sua azienda, sinonimo di pasta nel mondo, non si impegnava a spiegare alla clientela che il massimo dei risultati lo si otteneva cuocendo un niente la pasta nell’acqua bollente perché si smollasse, per poi farla andare nel sugo. Il problema, fu la risposta, è che è già complicato trovare dei tempi di bollitura, scolatura e condimento accettabili dai più, che era impensabile di imbarcarsi in lavorazioni ben più complesse. Basti dire che gli spaghetti prodotti a Parma, recano nelle confezioni destinate ai mercati del Nord Europa tempi più lunghi, improponibili da noi perché vanno ben oltre l’al dente. Senza poi contare che già da noi un milanese giudica cruda la pasta cotta a Napoli (e scotta quella a Trento) e un napoletano scotta già quella di Milano.
Il risottamento ha però una sua logica, in fondo da Romano a Viareggio, sempre in Versilia, i paccheri sono bolliti solo per metà tempo e poi tirati a lungo in padella esattamente come a Marina nel Cantone sulla Costiera Amalfitana, il segreto della pasta agli zucchini, ad esempio alla Taverna del Capitano, è un continuo amalgamarla in una zuppiera tirandola via via con l’aggiunta di un amen di acqua calda. Per inciso, il segreto a Roma di ogni Cacio e pepe che si rispetti, ad esempio quello di Felice, al Testaccio, e quello di Antonello Colonna a Labico, rifinito a tavola sotto gli occhi dei clienti. Il guaio grosso è l’impegno che il risottamento richiede, tant’è vero che, ancora prima del gusto, la pasta surclassa per diffusione il risotto per un tempo di preparazione inferiore e per la sua praticità, a iniziare dal fatto che non devi stare lì a sorvegliarla minuto dopo minuto ma ti puoi occupare di altre cose, tipo apparecchiare, stappare il vino e avviare il secondo.
Quest’ultima considerazione ne comporta una seconda: la scarsa propensione della persona normale a “soffrire”, senza scordarci la difficoltà di tanti a spendere per la qualità (a prescindere dalle effettive possibilità economiche). Chi vuole solo mangiare qualcosa senza perdere tempo, potrà ascoltare mille consigli utili, ma continuerà a bollire e condire e via nel piatto. E dire che l’impegno dei produttori è massimo per offrire prodotti sempre migliori. In una piramide che vede al vertice Benedetto Cavalieri, 0836.484144, di Maglie nel Salento e Gerardo di Nola, titolare Giovanni Assante, a Castellammare di Stabia nel Napoletano, poco più che artigiani, la Barilla, dopo Orizzonti, una linea prodotta con ceriali, farro, lenticchie, orzo e grano saraceno, in estate ha lanciato la linea integrale di grano duro. E sabato al Salone del Gusto a Torino, l’abruzzese De Cecco presenterà sia la novità al grano Kamut sia la linea biologica. Stesso comune, Fara San Martino (Chieti), per la Delverde che dopo diverse peripezie gestionali, è stata rilevata da Pierluigi Zappacosta, l’italo-americano a cui si deve l’invenzione del mouse per computer e che insegue un rilancio alla grande del pastificio.
Quanto al Pasta Day di mercoledì, che torna in Italia dopo le trasferta a New York e Barcellona, vedrà la presentazione dell’Ipo, l’International Pasta Organization, creato per tutelare l’immagine della pasta ovunque nel mondo, segretario l’italiano Raffaello Ragaglini. Filo conduttore saranno invece i sughi che hanno scandito mille anni pastaioli, con quattro cuochi, Colonna, Alfonso Iaccarino, Massimo D’Innocenti e Valentino Marcattilii, che proveranno a raccontare il futuro attraverso quattro nuovi condimenti, uno per stagione, dalla primavera di Colonna (per via delle verdure dell’orto) all’inverno di Marcattilii (il maiale). Mille anni fa furono i sughi in bianco per via del formaggio, poi fecero capolino le verdure e solo negli anni Venti dell’Ottocento la prima pummarola, allora creatività e oggi tradizione.

Secondo l’immancabile ricerca, la pasta al pomodoro è la più amata dagli italiani (53,8%), segue il ragù di carne (20,6) e, ancora più distanziati, sugo di pesce e ragù di verdure (7,7 per entrambi). Ma nulla fa acquolinare più degli spaghetti ai frutti di mare (13,2). Gli spaghetti al pomodoro? Sono tanto mangiati e proprio per questo poco bramati.

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