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Il pasticciaccio di Tonino Di Pietro

È lungo l’elenco degli ex dipietristi infuriati col segretario. Partito, rimborsi e statuto: ora Di Pietro ci risponda

Il pasticciaccio di Tonino Di Pietro

Paolo Bracalini - Gian Marco Chiocci

Non sa bene cosa sia l’amicizia, men che meno la riconoscenza. Sarà per questo che nel tempo Antonio Di Pietro ha tradito persone che gli volevano bene, che si sono «spese» per lui o che hanno sposato la sua causa al punto da sacrificare tempo, affetti e quattrini. Spessissimo il motivo scatenante dei divorzi sono stati i soldi, sotto forma di risarcimenti elettorali o spese vive per il partito. Secondo Alberico Giostra, autore del libro Il Tribuno, edito da Castelvecchi, «il leader dell’Idv è spesso mosso da un primordiale senso di difesa del proprio interesse e tutta la sua biografia è punteggiata da episodi che hanno il denaro come ingrediente essenziale dei conflitti con le persone con le quali è associato».

Proprio per la gestione delle finanze del partito l’ex pm non si parla più da anni - se non attraverso gli avvocati - con Mario Di Domenico, un fedelissimo di vecchissima data, cofondatore dell’Idv. Per via della distribuzione dei rimborsi elettorali europei ha tranquillamente mandato all’aria il rapporto con l’amico di sempre, Elio Veltri, che l’ha trascinato in tribunale (la causa è ancora in piedi) insieme ad Achille Occhetto e Giulietto Chiesa. Sempre in relazione alla (mancata) spartizione degli indennizzi agli alleati, Tonino ha fatto infuriare giudiziariamente Giuseppe Pierino, promotore del listone di centrosinistra «Progetto Calabrie» che ha corso con l’Idv alle ultime regionali: aperte le urne, conteggiati i voti, al momento di incassare il rimborso (85mila euro) ogni riferimento a Pierino è sparito nell’autocertificazione presentata alla Camera: «Ha tradito il patto elettorale solo per tenersi i rimborsi, non abbiamo visto un centesimo», l’attonito commento del politico calabrese.

In Friuli l’ex militante Alessandra Battellino nel 2003 siglò un accordo col presidente Illy in base al quale ogni partito avrebbe poi ceduto una parte dei rimborsi al candidato-presidente: vinte le elezioni, tutti rispettarono l’impegno preso. Tranne uno: Antonio Di Pietro. Che fece il bis con la candidata alla Provincia di Genova, Anna Maria Pannarello, che dovette rimborsare di tasca sua il presidente Repetto. E che dire di Aldo Ferrara, ex coordinatore del partito in Toscana, reo d’aver criticato la gestione autocratica del partito di Tonino con consueto strascico di conti da pagare. «Ero tra i candidati del 2001 - racconta - e come era prassi pagai una quota al partito per la mia candidatura: 50 milioni di fideiussione, lasciapassare per accedere in Parlamento, versamento intestato alla tesoreria dell’Idv. Uscii dal partito il 31 gennaio del 2001. I 50 milioni li ho rivisti solo dopo un braccio di ferro estenuante con la banca e con la signora Mura che non volevano restituirmi il denaro. Ci sono voluti sei mesi. I soldi che non vidi mai più invece furono i 40 milioni spesi da me per la gestione delle spese in Toscana».

Il vicequestore della Dia, Giovanni Aliquò, ancora non si capacita della presa in giro elettorale: «Dopo le elezioni del 2001 riportai alla corte d’Appello di Napoli le spese sostenute pari a 6 milioni di lire, spese documentate fattura per fattura. Non solo non ho visto la minima organizzazione per la ripartizione dei fondi, ma non ho più rivisto una lira. È una cosa che credo sia successa a tutti quelli che non fanno parte della cricca di Di Pietro». Salvatore Procacci, ex capo Idv in Umbria, iniziò a stare sulle scatole a Tonino non appena chiese che almeno gli venissero rimborsati i 20mila euro spesi per mandare avanti il partito. E a proposito dell’intesa elettorale in Umbria nel 2005 (vantaggiosa per Di Pietro in danno dei Verdi di Pecoraro Scanio) Procacci ha confessato: «Di Pietro ha sempre avuto una fissazione per i rimborsi elettorali e in un modo o nell’altro riusciva sempre a ottenere quel che voleva. Con lui bisognava stare attentissimi a quello che ti faceva firmare, bisognava leggere tutto, dall’inizio alla fine, senza tralasciare nulla».

Batte cassa da anni anche Wanda Montanelli, ex coordinatrice delle donne Idv, che si domanda dove siano finiti i 600mila euro iscritti negli ultimi bilanci del partito: «Nessuna delle donne del partito ha mai visto un centesimo», ha spiegato in tribunale. Domenico Porfido, corregionale di Tonino, non è rientrato di nessuno degli 84 milioni di lire spesi in campagna elettorale. Così come Lorenzo Lommano che s’è indebitato di 25 milioni di lire per aprire la sede di Campobasso, o come Dante Merlonghi che ha staccato assegni per 40mila euro e acceso un mutuo per 15mila per far fronte alle spese elettorali del 2005. Nel Tribuno di Alberico Giostra si fa riferimento anche a tal Pietro Sansini di Piacenza, primo assessore dipietrista d’Italia, e ad Angela Zeoli ex coordinantrice di Benevento, che non si sono visti rimborsare le spese di luce, gas, acqua, riscaldamento e telefono delle rispettive sedi.

E se Angelo Mancini, factotum Idv a Bologna, è stato cacciato dopo aver chiesto lumi sui bilanci del partito, ai tantissimi che sollecitavano un rimborso è stato risposto picche. A un certo punto sembrava stesse nascendo l’associazione nazionale «I fregati da Di Pietro».

Non gli risulta che ci sia, «ma se ci fosse ne farei parte volentieri» spiega al Giornale Beniamino Donnici, eurodeputato, uno dei tanti presi in giro da Tonino.

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