Il pastore rivoluzionario nemico delle rivoluzioni

Come ogni figlio, contestò il padre. Ma, una volta tanto, a ruoli invertiti. Il padre, Daniel, fu infatti acceso progressista, il figlio invece un rigido conservatore. Analoghe divisioni familiari si moltiplicarono in quello scorcio di Settecento. A fare da spartiacque tra le generazioni, l’opposto giudizio sulla Rivoluzione francese. I padri, cresciuti in epoca illuminista, si entusiasmarono al repulisti parigino, i figli ne ebbero disgusto.
Babbo Daniel aveva stretto amicizia con J.J. Rousseau nel periodo che il ginevrino trascorse in Inghilterra e fu suo esecutore testamentario. Era perciò infarcito delle sue idee palingenetiche. Il figlio invece si allontanò presto dall’ingenuo ottimismo paterno sulla possibilità di cambiare il mondo. Dopo avere studiato a Cambridge, nel 1789, l’anno stesso della Rivoluzione, prese gli ordini sacri e divenne pastore anglicano. Le notizie degli eccessi francesi filtrati in Inghilterra con i fuorusciti, lo portarono su posizioni opposte a quelle del padre. Concepì un odio profondo per le utopie che, alla prova dei fatti, si traducevano in ributtanti massacri. Detestava soprattutto quella corrente rivoluzionaria che voleva instaurare la felicità attraverso il comunismo dei beni.
Caposcuola di costoro era il marchese di Condorcet, l’illustre matematico che pagò con la morte la propria illusione. Rivoluzionario della prima ora, il marchese fu stritolato dalle lotte intestine. Imprigionato dai giacobini, lui girondino, si uccise col veleno la notte dell’arresto.
Riflettendo su questi avvenimenti, il Nostro ebbe un’intuizione che lo confermò definitivamente sulla vanità delle riforme dirette a migliorare la condizione dell’uomo sulla Terra. Se anche - con la più radicale distruzione delle istituzioni esistenti - si fosse riusciti a mettere tutti sullo stesso piano, un istante dopo si sarebbero fatalmente riaffacciate le disparità. Infatti - questa la sua teoria - col miglioramento delle loro condizioni economiche e sociali, i più emarginati avrebbero messo al mondo numerosi figli, non più frenati dalla difficoltà di mantenerli. La moltiplicazione dei viventi avrebbe trovato però un ostacolo invalicabile nell’insufficienza dei mezzi di sussistenza.
Il cibo e i prodotti della terra in genere - questo il suo calcolo - possono infatti aumentare solo in progressione aritmetica, mentre la popolazione cresce a ritmi geometrici. Ergo: l’equilibrio momentaneamente raggiunto con la rivoluzione, sarebbe stato travolto in tempi brevissimi. «Avremmo di nuovo - scrisse - una società del nostro tipo, con i suoi padroni e servi, proprietari e fittavoli, facoltosi e diseredati». In sostanza, la felicità non è di questo mondo e dobbiamo tenercelo com’è.
L’intento conservatore del Nostro balza evidente: ogni rivolgimento politico è destinato al fallimento, poiché nulla può l’uomo di fronte al fenomeno naturale della disparità tra mezzi di sussistenza e tumultuoso andamento demografico indotto da un’illusoria eguaglianza sociale. Anzi, il presunto progresso produrrebbe una catastrofe collettiva dovendo dividere tra molti il cibo appena sufficiente per pochi. «L’uomo che nasce in un mondo già occupato - esagerò il Nostro - è effettivamente di troppo sulla terra».
La teoria, che piacque ai ricchi, scatenò per decenni l’ira dei riformatori. Specie di quelli socialisti e comunisti. «Al mondo un solo uomo è stato di troppo ed è lui», disse Proudhon riferendosi al Nostro. E Karl Marx aggiunse: «Fu lo staffiere dell’aristocrazia». Eppure lo studioso era in perfetta buona fede poiché pensava di avere rivelato - nell’interdipendenza tra popolazione e cibo - una legge di natura. Si affannò infatti a predicare il «ritegno morale», cioè la morigeratezza sessuale, e il matrimonio in età avanzata quando la donna, vicina alla sterilità, poteva avere pochi figli e l’uomo era in grado di mantenerli. Anche per questo, i progressisti e la Chiesa lo detestarono. Ma quando i suoi seguaci nel ’900 appoggiarono apertamente l’aborto, la sinistra, paradossalmente, riscoprì lo scienziato fin lì vilipeso e lo rivalutò.
Con coerenza, il Nostro si sposò maturo, 38 anni, ed ebbe solo tre figli, numero esiguo per l’epoca. Il furore che aveva però scatenato creò due leggende opposte.

La prima che - contro i suoi principi - ne avesse avuti undici. L’altra che - prigioniero dei suoi pregiudizi - non ne avesse avuto nessuno.
Morì in pace con se stesso a 68 anni, colpito da infarto mentre coglieva un fiore.
Chi era?

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