Cultura e Spettacoli

Patrick Galvin Una ballata irlandese fra bombe e bordelli

La storia tragicomica di un marmittone arruolato nella Raf degli odiati inglesi

Che l’Irlanda sia un Paese di grandi narratori, che non abbia mai provato grande simpatia per gli inglesi, che nel corso della seconda guerra mondiale la sua sia stata una posizione di prudente neutralità, viziata da un sostegno morale inespresso a beneficio della Germania di Hitler, se non altro in spregio alla secolare oppressione britannica, non è una novità. Quel che potrebbe risultare sorprendente è il fatto che un eccellente romanziere irlandese, il quasi ottantenne Patrick Galvin, nativo di Cork, racconti la storia di un giovane connazionale - in realtà l’autore stesso - che decide di arruolarsi nella Royal Air Force, al soldo degli odiati inglesi, per combattere una guerra invero non molto sentita nell'isola color smeraldo. Ed è proprio questa la vicenda di partenza del suo ultimo romanzo Canzone per un volo di guerra (Ponte alle Grazie, pagg. 219, euro 13), che conclude una spassosa trilogia. Dopo averne narrato l’infanzia nella poverissima Cork che si spopola per inseguire il sogno americano (Canzone per un povero ragazzo) e la prima adolescenza da teppistello di strada che finisce in un duro riformatorio a conduzione religiosa (Ballata per un giovane straccione), stavolta Patrick è alle prese con un passaggio all’età matura che le difficili condizioni del tempo e lo scoppio della guerra accelerano. Piuttosto che restarsene senza lavoro nella patria della disoccupazione nera, Patrick si arruola nelle forze di aviazione britanniche. E pensare che sua madre aveva detto che Hitler «almeno una buona cosa l’aveva fatta: si era messo in guerra contro gli inglesi». È proprio così che si apre un romanzo che è, al tempo stesso, una struggente ballata sulla formazione di un giovane spiantato a contatto con un mondo nuovo e una disincantata requisitoria contro la guerra. Toni sopra le righe non se ne percepiscono. In questo, la tradizione irlandese dice la sua. Pazienza, senso dell’umorismo, convivialità. Ci sono riferimenti irriverenti a personaggi a cui la storia ha dato una precisa collocazione; scenette comicissime sui primi passi mossi dalla recluta Patrick nel campo d’addestramento della Raf, prima di essere spedito a diverse destinazioni che gli vengono rese note solo una volta sul posto. C’è l’Africa, con le sue lusinghe, non ultima quella della carne che, per il giovane Patrick, è un universo oscuro. Mentre le notizie dai diversi fronti internazionali si susseguono e mentre si fa sempre più pressante la voce di un imminente sbarco in Normandia delle truppe alleate, sembra che la guerra di Patrick sia poco più che una serie di avventure locali, a tratti imbarazzanti. Una guerra personale contro pidocchi e pericolosi virus africani e non contro i nazisti. Qualche visita al bordello raccomandato dai superiori, quello per i bianchi ma non per tutti, essendo vietato ai marmittoni come lui. Eppure la tenutaria avrebbe voluto che il suo fosse «un bordello per tutti i gusti aperto a ogni nazionalità - la tolleranza era considerata una virtù e la politica un danno per gli affari». Qualche libagione in eccesso, a cui fanno da colonna sonora le canzoni delle più grandi orchestre americane del tempo, Benny Goodman, Count Basie e Glenn Miller in testa, un contorno musicale che Galvin investe quasi di un valore propagandistico, come se l’America stesse cominciando ad allungare le mani sui Paesi che stava sostenendo. Chi si aspetta violini, tin whistle, gighe e boccali di birra nera resterà deluso. Il tratto più irlandese sta nella scrittura e non nell'argomento. Tanto meno nell'ambientazione. Ma lo stile non mente: pura narrativa irlandese classica. Senza l’umorismo nero come la Guinness che scorre nel sangue del suo popolo, Galvin non sarebbe l’irlandese che è. «Gli americani erano sbarcati a Utah e Omaha senza disturbare Adolf Hitler che stava dormendo e aveva disposto che nessuno potesse svegliarlo tranne Eva Braun (e solo se indossava la camica da notte trasparente che a lui piaceva tanto)». E se non è grande profondità storica questa... Finché esisteranno autori come Patrick Galvin, ci saranno sempre romanzi intelligenti e lievi.

Non è cosa da poco.

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