Roma - «Abbiamo un enorme lavoro da fare». Mario Monti non parla ancora da premier in pectore, ma la battuta che ha pronunciato ieri a Berlino nel corso di un convegno dedicato al sociologo anglo tedesco Ralf Dahrendorf danno l’idea della linea che sceglierebbe se approdasse veramente a Palazzo Chigi. Concentrato sui temi economici, con l’Europa come bussola («l’Italia non può ignorare le sue responsabilità come stato membro fondatore dell’Ue», si è «espulsa da sola» dall’asse franco-tedesco, ha detto mercoledì). Ma la linea del rigore è quella di marca tremontiana (Monti ha spesso elogiato la tenuta dei conti dell’attuale ministro dell’Economia). Monti chiederebbe sacrifici e riforme, ma invece di concentrarsi solo su alcune misure - scommettevano ieri esponenti della maggioranza - punterebbe sul mal comune mezzo gaudio, cioè farebbe digerire i sacrifici con altri sacrifici. La chiave per indovinare il suo programma di governo in queste condizioni politiche, in altre parole, sta tutto sulle «e». Patrimoniale e riforma delle pensioni. Liberalizzazioni e riforma del lavoro.
Patrimoniale. La danno per scontata i boatos in Parlamento, se ne parla negli ambienti economici e dentro i sindacati. La chiede la sinistra come condizione per fare digerire ai suoi l’alleanza con il Pdl. È a questo che si riferiva nei giorni scorsi il presidente del Pd Rosy Bindi quando avvertiva che «il governo dovrà passare per il Parlamento». Ed emerge anche dalle parole di Cesare Damiano, ex ministro del Lavoro ed esponente Pd: «C’è una situazione di emergenza che richiede misure eccezionali, ma bisogna trovare l’equilibrio tra rigore e giustizia sociale. Pensionati e lavoratori hanno già fatto sacrifici».
Pensioni. Anche il Pdl non muore dalla voglia di firmare un altro intervenuto sulla previdenza, dopo quelli messi in campo in questa legislatura. Però l’assenza della Lega potrebbe permettere l’abolizione delle anzianità. Si può fare lasciando in campo solo la vecchiaia, quindi un’età del ritiro unica per tutti, a 67 anni nel 2026. È, di fatto, quello che ci chiede la Banca centrale europea. La speranza del Pd è che il futuro esecutivo punti sull’uscita flessibile e volontaria, ma l’unica che potrebbe accettare Monti sarebbe la versione proposta dall’economista Elsa Fornero che prevede anche il pro-rata per tutti. Quindi calcolo retributivo per tutte le pensioni future. Meno soldi per i pensionandi quindi.
Articolo 18. Se il faro del prossimo inquilino di Palazzo Chigi sarà ancora la lettera della Bce all’Italia, non potrà che tornare sulla riforma del mercato del lavoro, anche se con la certezza di trovarsi contro tutto il sindacato. Se al ministero del Lavoro andasse Pietro Ichino, la sua proposta di riforma sarebbe in testa all’agenda del governo. In sintesi, contratto unico, licenziamenti più facili in cambio della garanzia del sostegno al reddito per tre anni. Quindi nuovi ammortizzatori sociali, mentre resta difficile fare reali tagli alla tassazione sul lavoro.
Liberalizzazioni e crescita. Vero pallino di Monti, rimuovere gli ostacoli alla concorrenza. Continui i suoi appelli per le liberalizzazioni, il rafforzamento delle autorità indipendenti a presidio del mercato e per l’apertura delle professioni.
Se un - ripetiamo, ancora ipotetico - Monti premier terrà fede alle idee espresse ieri a Berlino, non dovrebbe cercare la crescita con politiche che prevedono la spesa pubblica, ma tramite «la rimozione degli ostacoli allo sviluppo», «riforme strutturali che eliminino i privilegi e le rendite di tutte le categorie sociali».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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