«Non so davvero se con la Lega riusciremo a tirare avanti così per un anno...». Venerdì scorso, tra una riunione e l’altra a Palazzo Grazioli, Berlusconi non c’ha girato troppo intorno. Pubblicamente non l’ammetterebbe mai, ma il Cavaliere è ben consapevole di quanto l’asse tra Pdl e Carroccio sia a rischio nonostante il rapporto personale che lo lega a Bossi ormai da anni. La prospettiva, infatti, è decisamente cambiata. E se il governo Monti dovesse - come è possibile - arrivare a fine legislatura, sarà davvero difficile comporre posizioni tanto distanti. Conciliarle durante le discussioni nelle commissioni parlamentari e i voti in aula, ma pure nei dibattiti Tv e nei comizi di una campagna elettorale che al più tardi si aprirà a settembre del prossimo anno e che di fatto la Lega ha già iniziato se i suoi dirigenti - ieri è toccato a Boni, presidente del Consiglio regionale della Lombardia - hanno ripreso senza esitazione a parlare di «secessione».
Tenere insieme due linee così distanti, insomma, sarà davvero dura. E Berlusconi ne era consapevole anche prima dell’uscita del Senatùr che venerdì ha buttato lì che l’ex premier avrebbe deciso il passo indietro solo perché erano «ricattate» le sue aziende. Non è quella, dunque, la causa della freddezza di queste ore né dei dubbi sul futuro. Più semplicemente ne è la conseguenza.
Così, anche se Alfano cerca di sminare un terreno sempre più accidentato spiegando che «non c’è alcuna novità» nelle parole di Bossi visto che «anche il giorno della fiducia» a Monti «noi abbiamo votato a favore e lui contro», non c’è dubbio che la corsa dei due partiti si vada lentamente divaricando. Nonostante la Gelmini si auguri che l’intesa «possa continuare» visto che «fino ad oggi non è certo stato un cartello elettorale» ma «un’alleanza solida» sui contenuti. È piuttosto sintomatico, però, che - seppure con la prudenza del caso - ad ammettere che un problema c’è sia uno solitamente cauto come Lupi. Perché, spiega il presidente della Camera, il Pdl ha optato per l’Italia e ha dato il suo sostegno a Monti mentre la Lega ha scelto «il proprio partito». Insomma, «abbiamo preso due strade diverse».
A confermarlo è il programma piuttosto «ballerino» del convegno del Pdl organizzato ieri a Verona dall’ex sottosegretario Giovanardi. Era atteso Berlusconi, che ha rimandato ad oggi la sua presenza. E pure il sindaco della città, il leghista - e maroniano - Tosi ha preferito rinviare, così da non mancare l’arrivo del Cavaliere e l’intervento di Alfano. Una sorta di marcatura a uomo niente affatto casuale. A Verona, infatti, in primavera si vota per il Comune. E l’unica certezza è che Tosi sarà sostenuto da una sua lista civica e da un’altra della Lega Nord, un primo segnale forte di quanto nel Carroccio si agitata la fronda interna al «cerchio magico» (quindi a Bossi e, di conseguenza, all’asse con Berlusconi).
E in questo scenario è ovvio che riprendano quota coloro che nel Pdl auspicano da tempo una riapertura del dialogo con l’Udc.
Sono tanti, soprattutto tra la componente cosiddetta «sudista» del partito dove è meno pressante il problema delle tante amministrazioni locali dove si governa con il Carroccio. E non è un caso se Fini prova ad infilare il coltello nella piaga invitando Bossi a «dire le vere ragioni delle dimissioni di Berlusconi se davvero le conosce». Ben più cauto, invece, Casini.
Il leader dell’Udc, infatti, sembra da qualche tempo giocare «in proprio» rispetto agli alleati del Terzo polo, conscio di aver ormai raggiunto un «rango» diverso sia rispetto a Fini che a Rutelli.
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