Patto Berlusconi-Ciampi: Camere sciolte l’11 febbraio

«Prodi evita il faccia a faccia con me perché è colpito da attacchi di panico»

Massimiliano Scafi

da Roma

Alle sei di sera, sorrisi smaglianti da photo opportunity e vigorose strette di mano sigillano la ritrovata pax istituzionale. Nel suo studio al Quirinale, Carlo Azeglio Ciampi riceve il premier che lo informa ufficialmente di «aver convocato il Consiglio dei ministri alle 13 di sabato 11 febbraio per deliberare l’indizione, per il 9 e 10 aprile 2006, delle elezioni politiche». E il capo dello Stato, «constatato che il Parlamento ha risolto il problema della candidabilità dei sindaci e dei presidenti di Provincia» e che ha evitato «il raddoppio delle firme per quelle liste che devono raccoglierle», annuncia a Silvio Berlusconi che scioglierà le Camere l’11 febbraio. Pera e Casini sono stati già convocati. Tutto come previsto: il Parlamento lavorerà due settimane in più, ma gli italiani andranno ugualmente alle urne il 9 aprile, che per Ciampi «è una data irrinunciabile e non rinviabile». Un accordo già stretto da 48 ore e che però ha bisogno di quest’altro vertice formale per la ratifica.
Per il Cavaliere un’altra giornata lunga. L’incontro al Quirinale è la tappa più attesa, ma non l’ultima, di un pellegrinaggio pre-elettorale che inizia di buon mattino nella trasmissione di Maurizio Costanzo e che prosegue con un filo diretto con Radio Montecarlo. «Io faccio una vita grama», si lamenta Berlusconi. «Sì, è così - riprende davanti allo stupore del conduttore -. Non ho mai festeggiato nemmeno per una vittoria elettorale. L’altro giorno mio figlio mi ha detto: "Papà, abitiamo a Milano da dieci anni e non abbiamo mai fatto una festa". È vero, sono il meno festaiolo di tutti, non mi godo nemmeno i successi politici perché penso subito al traguardo successivo». Una vita, insiste, «fatta di tanto sacrificio, di tante incomprensioni e tanti nemici che ti insultano».
L’ultima volta, dice, è successo dopo la deposizione ai magistrati romani sul caso Unipol. Testimonianza archiviata, «ma era scontato fin da subito, io sono andato dai giudici per dimostrare che avevo detto la verità, per difendere la credibilità del presidente del Consiglio, invece leggo che sarei stato sconfessato». Quando, prosegue, sono gli altri che hanno detto «di aver fatto solo il tifo sugli spalti, mentre invece poi sono stati costretti a dire che quei quattro incontri ci sono stati». E a proposito di incontri, con chi preferirebbe andare a cena, con Fassino o con Prodi? «Preferisco commensali meno tristi e più divertenti. Meglio allora digiunare». Poi rifà il verso a Pino Campagna, ospite anche lui da Costanzo, riadattando il tormentone del comico di Zelig: «Prodi, ci sei? Ce la fai? Sei connesso? Assolutamente no, non è connesso».
Prima o poi lo incrocerà in tv. «Non so quando si farà il confronto - risponde -. Lui ha continui attacchi di panico. Avremo un calo di ascolto». E la sfida arriva subito sul lettino dello psicanalista, con la replica del portavoce di Prodi: «Consigliamo al premier di andarsi a leggere sul dizionario la voce "identificazione proiettiva". Si tratta di una sindrome che porta ad attribuire ad altri i propri sentimenti impulsivi e pensieri inaccettabili». Controribatte Paolo Bonaiuti: «Dichiarazione noiosa, pesante e scontata». Aggiunge Fabrizio Cicchitto. «L’ufficio stampa di Prodi è una comunità terapeutica impegnata nel sostegno psicologico del suo datore di lavoro. Speriamo che mantenga il segreto professionale sulla cartella clinica del suo assistito».
Il Cavaliere annuncia le quote rosa in Forza Italia: «Dobbiamo inserire nelle liste il 25 per cento di donne. Porteranno in Parlamento concretezza e sensibilità». Ma il bersaglio resta il leader del centrosinistra. «Dice che sono alla canna del gas? Un’affermazione di grande intelligenza e di grande classe. Non replico a certe battute». Pensi piuttosto a se stesso: «La sua è la storia di un manager pubblico poi diventato politico che, quando è arrivato al governo, è stato abbandonato dalla sua maggioranza dopo solo due anni».
E se vince l’Unione, sostiene, il copione si ripeterà. «Non so su quali basi si possa immaginare l’azione di un suo esecutivo che abbia un programma unico in politica estera e in economia. Immaginate come potrebbe governare avendo come compagni di viaggio e no global che dicono no a tutto, dal traforo con la Francia al ponte sullo Stretto».

Insomma, con Prodi a Palazzo Chigi «l'Italia tornerebbe antiquata, statalista, incapace di sostenere la competizione globale, con più spesa pubblica e più pressione fiscale: avremmo l'immagine internazionale di un Paese spostato a sinistra, verso quei partiti che hanno ancora nel simbolo falce e martello, immagine della più sanguinosa dittatura della storia».

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