Non se ne sarebbe mai andato senza rivedere la sua Milano, la vecchia Rogoredo dove il personaggio della canzone «el vosava me n strascée»; senza rivolgere un ricordo a quellaltro disperato che «el portava i scarp del tennis/ el parlava de per lù» e a tante altre sue immagini che hanno fatto la storia della canzone popolare ma anche del cantautorato che sintreccia al cabaret. Enzo Jannacci è stato male di brutto, ha rischiato di morire a Lavagna (in Liguria) per una grave polmonite con improvviso blocco respiratorio. Cè voluta la terapia intensiva e la sala di rianimazione per tirarlo fuori per i capelli ma alla fine ce lha fatta, è fuori pericolo e ieri ha lasciato lospedale per passare in una clinica di Milano, dove riposerà e sarà sottoposto ad altri accertamenti, ma almeno respirerà aria di casa.
Un brutto spavento per il dottor Jannacci, cantautore a tempo pieno e cardiochirurgo per sbaglio (o viceversa, non sè mai capito) che ha collaborato anche con la storica equipe del professor Christian Barnard. Jannacci, che non si è mai preoccupato eccessivamente della sua salute, ora si cura personalmente e monitora attentamente le sue condizioni. Naturalmente il tutto condito con la consueta, surreale ironia che contraddistingue il suo modo di vivere fuori e dentro il palcoscenico. Poco tempo fa, da noi intervistato sulla fede, rispose: «Son medico e realista, la vita è una condanna a morte perché è faticosa e perché alla fine ti attende inesorabile la morte». Parole che non lasciano scampo, ma che lui stemperò immediatamente dicendo: «Non credo ma amo la figura di Gesù e son convinto che, se scendesse dalla croce, oggi ci prenderebbe tutti a calci nel sedere».
Insomma è un miracolo che questo artista 76enne, partito come pianista dei Rocky Mountains di Tony Dallara, passato alla band di Celentano e poi al duo i Corsari con Giorgio Gaber, sia ancora un campione di veemenza affabulatoria e di sano divertimento (per gustarlo al meglio cè il dvd Concerto. Vita e miracoli ). Lui sa essere tutto e il contrario di tutto con quel canto sguaiato, tutto stecche e singulti ma sempre altamente espressivo; lui sa fare il clown e al tempo stesso il clown tragico, ora mettendo in scena se stesso ora gli altri: autori e cantautori come Dario Fo, Giorgio Strehler, Beppe Viola, Fabrizio De André con cui a vario titolo ha collaborato.
Lelenco delle canzoni che ha cantato e scritto è lunghissimo e variegato, da LArmando a Giovanni il telegrafista, da E la vita la vita a Vengo anchio no tu no ma le sue preferite sono Luomo e letà e Ti te se no, «brani che portano in giro poesia spicciola e divertimento». Siccome Jannacci è un bastian contrario, il pezzo che ama di meno è quello che lo ha lanciato, Vengo anchio no tu no: «Mi hanno fatto cantare in modo burattinesco, con voce gracchiante, non mi piaceva per nulla ma è stato il mio colpo di fortuna». Speriamo di rivederlo presto in teatro, a portare ancora in giro il suo repertorio fantasioso ma basato sulla realtà quotidiana, da gran signore che sentenzia: «la vita è ironia, non mi piace chi fa il comico usando il sarcasmo offensivo». Infatti il suo segreto (arte raffinata e antica) è prendere in giro tutti senza mai insultare nessuno.
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