La paura è un valore E striscia nel «Serpente»

Sul finire della sua brevissima vita, Stig Dagerman accusava sé stesso di aver "raggiunto ingegnosi compromessi, non tanto con la propria coscienza, quanto con il proprio coraggio e il proprio gusto".

La paura è un valore E striscia nel «Serpente»

Sul finire della sua brevissima vita, Stig Dagerman accusava sé stesso di aver «raggiunto ingegnosi compromessi, non tanto con la propria coscienza, quanto con il proprio coraggio e il proprio gusto». Essere uno scrittore di successo non gli andava giù. Essere uno scrittore anarchico di successo, poi, lo considerava un auto-tradimento. Così, il 5 novembre 1954, un mese prima del trentunesimo compleanno, scelse l'auto-omicidio. Sicuramente quando lo fece covava ancora una serpe in seno, anzi Il serpente. Era il serpente della paura che tutti gli uomini dovrebbero portarsi sempre appresso, quale monito dell'assurdità dei loro comportamenti e delle regole che scelgono di darsi. Il serpente (ora edito per la prima volta in italiano, da Iperborea) è il titolo del primo libro dell'autore svedese. Un romanzo fatto di racconti che s'intersecano e s'avviluppano come le spire di un serpente, che si nascondono tra i cespugli e i rovi della memoria individuale e collettiva.

La Seconda guerra mondiale non è ancora finita e in una caserma della neutrale Svezia i soldati, in mancanza di un nemico, fanno grottesche esercitazioni, ramazzano le camerate e aspettano di ottenere il foglio per la libera uscita, da trascorrere fra birre e ragazze. E una corsia preferenziale per la serata libera, il marmittone Bill la ottiene dal sergente Bohman, quando riesce a catturare il serpente che proprio il graduato aveva visto per primo. La bella Irène, innamorata del Nostro eroe (si fa per dire) e gelosa della cameriera Wera, si sente chiamare «cagna» dalla madre e commette qualcosa di irreparabile. La prima parte del libro s'intitola con il suo nome e da sola vale, come si dice, il prezzo del biglietto, con una narrazione serrata e cinematografica accompagnata da una scrittura limpida, glaciale, in cui i delitti della ragazza e del ragazzo si sovrappongono, in un concorso di colpe che tendono a elidersi. Ma intanto, oltre a Bill abbiamo già conosciuto, e meglio li conosciamo nel successivo capitolo «Non riusciamo a dormire», gli otto caratteristi sotto naja (strana coincidenza: si chiama naja anche un genere di serpenti...). I quali assurgono di volta in volta al ruolo di protagonisti, prima narrando a turno agli altri, come fossero drammatiche favole della buona notte striscianti fra le brande, le loro precedenti esperienze militari, e poi prendendosi la scena nei racconti conclusivi, girati, per così dire, in esterno, cioè fuori del grigiore della «proprietà della Corona».

Dove scoprono altri grigiori civili. Dandy e Allegria alle prese, tramite due fanciulle un po' ritrose, con un laido commerciante e con la sua povera moglie; Edmund, Kalle Gongolo e Joker in una serata alcolica che pone sulle loro teste il «cerchio di ferro» della disillusione; Sörenson imbattendosi in un autentico mostro; Gideon, il più borghese di tutti e per questo il più efficace nel descrivere la «paura» come elemento fondante persino dell'amicizia con i commilitoni; infine Scriver. Lui è scrittore.

Lui è a tutti gli effetti Stig Dagerman, e gli spetta il compito di tirare le conclusioni di questo simposio trasversale in cui ognuno ha portato un contributo alla discussione del tema in oggetto: come comportarsi di fronte al «serpente». Per quanto gli riguarda, «lo scrittore dovrebbe essere un simbolo di tutte le persone del mondo che non si fanno trascinare dall'ambizione di soffocare la propria paura». Stig Dagerman non lo fece.

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